Che cos’hanno in comune Arthur Fery, l’inglesino che per un set e mezzo, sotto il cielo dispettoso di Londra, tiene in scacco Daniil Medvedev a Wimbledon, e John McEnroe? Il coraggio, la velocità e la frequentazione dell’università di Stanford: da quella vetrina sono arrivati tutti e due ai Championships, anche se con diverse qualità ed aspettative tecniche. Così, il ventenne di casa, promosso in tabellone grazie a una wild card, da appena 391 del mondo, rilancia il pass- partout universitario. Nel segno, ultimamente, di altri tennisti più noti e credibili sul circuito ATP.
TERZA VIA
A lungo la strada maestra per l’accesso al mondo dei professionisti era quella di tornei juniores: ci si faceva le ossa
fino allo scadere dei 18 anni e poi si spiccava il salto verso i tornei minori, che non erano così tanti e quindi così frequentabili come adesso. Anzi, rappresentavano il “refugium peccatorum” delle vecchie volpi, scacciate dal
circuito principale, vuoi per età, vuoi per infortuni, ed erano quindi poco praticabili per gli aspiranti stregoni
bambini. Poi il purgatorio Futures- Challenger è stato rimpinguato, rinforzato, allargato e soprattutto arricchito, soppiantando in gran parte quello juniores, a partire anche dai 16 anni. E ultimamente il canale tennistico universitario, che era destinato solo ai giocatori statunitensi, si è propagato ad atleti di tutte le nazionalità e sta diventando sempre più importante per spiccare il gran salto direttamente sull’ATP Tour. Anche prima di aver concluso gli studi, com’è stato il caso recentissimo di Brian Shelton, svezzato alla Florida University.
PIU’ TARDI
Shelton, figlio d’arte che rilancia il servizio-volée classico, resta comunque un’eccezione. Che in virtù della straordinaria precocità, conferma la regola di giocatori che, comunque, studiando, ritardano oltre i 24 anni l’ingresso nel grande tennis. E’ il caso del britannico Cameron Norrie, targato TCU, Texas Christian University a Fort Worth, dell’argentino Francisco
Cerundolo, che ha frequentato la South Carolina, dell’ultima speranza nordafricana, Cris Eubanks, proveniente dalla Georgia Tech, del tedesco Yannick Hanfmann, griffato USC, University of South California, della triade della
famosissima UCLA (University of Los Angeles California), Mackenzie McDonald, Maxime Cressy e Marcos Giron. E poi
ancora JJ Wolf che ha frequentato l’Ohio State, il portoghese Nuno Borges, transitato per Mississippi State, il
francese Arthur Rinderhnech da ATM, Texas A&M, la quarta università più importante d’America. Citiamo anche il
tedesco Dominik Koepfer che ha studiato a Tulane, gli australian Aleksandar Vukic e Rinky Hijikata, passati per
Illinois e North Carolina, il decaparecido a stelle strisce Jensen Brooksby, promosso da Baylor, l’ex re dei battitori Usa, John Isnerm che aveva studiato a Georgia, il croato Borna Gojo, brutto souvenir dell’Italia di Davis, che ha frequentato Wake Forest, e l’ecuadoriano Emilio Gomez, emerso dalla USC.
TRATTI COMUNI
Oltre all’approdo tardivo sul Tour, all’ottimo eloquio, alla consuetudine di frequentarsi molto fra di loro creando un po’ un’élite, al comportamento spesso impeccabile in campo, gli universitari del tennis hanno in comune altre caratteristiche particolari. Allenati dalle partite fra atenei, subiscono poco le pressioni esterne del pubblico, e mettono spesso in mostra grande personalità e stile di gioco unico. Nel segno della terza via che stanno indicando per arrivare al tennis pro.
(tratto da supertennis.tv. Foto tratto da Atptour.com)