L’età per Ivo Karlovic è soltanto un numero. A ottobre, a 39 anni e 6 mesi, è diventato il più anziano campione di un torneo challenger, rompendo le uova nel paniere a Dick Norman che, a Messico City 2009, aveva fissato il record a 38 anni e un mese. Ma anche a Stephane Robert che, proprio quest’anno, s’era imposto, a 37 anni e 7 mesi, a Burnie e, soprattutto, al nostro più fulgido esempio di dedizione, Paolo Lorenzi, che a 36 anni e 6 mesi aveva firmato Sopot e, un mese dopo, Cordenons. Così, forse, il pivot croato di 2.11, che porta il 51 di scarpe, si è vendicato in modo indiretto dello sgambetto dell’altro veterano italiano campione di applicazione, Andreas Seppi, che l’aveva superato agli Australian Open di gennaio con l’eloquente 6-3 7-6 6-7 7-7 9-7. Sconfitta affatto addolcita dall’ennesimo record di longevità, con le semifinali di aprile sulla terra di Houston, a 39 anni, da più anziano del circuito dal mitico Jimmy Connors che ci riuscì quarantenne a San Francisco 1993.
Del resto, i primati sono nel DNA dell’eterno ragazzo nato a Zagabria il 28 febbraio 1979, a lungo detentore della maggior velocità al servizio, con 251 chilometri all’ora, prima di essere scalzato da Samuel Groth, a quota 263. Comunque, vanta sempre il record di più ace di tutti, 12,936, dopo aver scalzato dal trono il più famoso tennista di casa croata, Goran Ivanisevic, mettendone giù a grappoli-record: in coppa Davis, nel 2009, ne fece 78 in un match solo contro Radek Stepanek, superando il proprio limite di 55 contro Lleytton Hewitt al Roland Garros 2009 (contro Daniele Bracciali a Wimbledon 2005 si era … fermato a 51!). Il primato ha resistito fino alla partita più lunga della storia fra Isner e Mahut a Wimbledon 2010, quando lo statunitense piazzò 113 ace e il francese 103. Ma Ivo ha comunque mantenuto quello nei match al meglio dei tre set: 45 contro Tomas Berdych ad Halle 2015.
Karlovic, campione in carriera di 8 titoli Atp di singolare, ha raggiunto la miglior classifica al numero 14 nell’agosto del 2008, e chiude l’anno al 99. Che non è una cifra qualsiasi, è la cifra che voleva lui per assicurarsi l’ingresso nei tornei dello Slam senza passare per le qualificazioni, dove, negli ultimi quindici anni, è transitato solo agli Us Open 2013. Ma dove sarebbe stato costretto agli Australian Open di gennaio, a seguito dell’eliminazione al secondo turno di New York per mano del numero 345 del mondo Colin Altamirano, che gli era costata la degradazione al 137 della classifica.
Per recuperare, da ottobre, Ivo il silenzioso si è sobbarcato la trafila dei tornei challenger: ha perso in finale a Monterrey contro David Ferrer (votato alla stessa missione dopo il calo sulla scena di primo livello Atp Tour), ha perso subito a Fairfield, ma ha siglato Calgary – a suon di 126 ace! -, e quindi si è accontentato di tenere un buon rendimento, coi quarti a Charlottesville e a Houston. L’ultimo torneo dell’anno, dov’era approdato da 102 della classifica.
Se lo merita o non se lo merita il biglietto d’ingresso agli Australian Open per il sedicesimo anno consecutivo?
*articolo pubblicato su federtennis.it, supertennis.tv