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Atletica

Ecco perché quell’indimenticabile 19”72 di 39 anni fa di Pietro Mennea non si può contestare

Da Sport Senators 13/09/2018

Smontiamo, numeri alla mano, la critica all’altura del mondiale alle Universiadi di Città del Messico e anche quella all’Olimpiade: nella classifica dei tempi sui 200 nel 1980 l’azzurro occupava le prime sei posizioni ed aveva otto delle prime 10 prove cronometriche…

 Il 12 settembre 1979, a Città del Messico, nella finale dei 200 metri alle Universiadi, Pietro Mennea stabilisce il nuovo record del mondo in 19”72, battendo il 19”83 dello statunitense Tommie Smith che lo aveva ottenuto, sempre nella capitale messicana, nell’Olimpiade del 1968. A distanza di 39 anni, il ricordo di quell’impresa, come dell’oro sui 200 all’Olimpiade di Mosca 1980, suscita ancora emozioni, ma anche polemiche, invidie e un festival di falsità, a tutto danno del campione barlettano. Le accuse: record stabilito in altura, partecipazione fasulla perché non era studente universitario, oro olimpico vinto senza gli americani come avversari a causa del boicottaggio contro l’Unione Sovietica e via di questo passo.
    Gli argomenti sono sempre gli stessi, ma, se si possono anche capire le motivazioni di chi ha in antipatia Mennea (è comunque un suo diritto non amarlo) e quindi ha anche la voglia di denigrarlo, è molto più difficile accettare che gli esperti del settore e gli operatori dei mezzi di comunicazione contribuiscano a questa disinformazione di massa, inducendo anche le persone senza preconcetti a farsi un’idea sbagliata di Mennea, del suo record e della sua vittoria più preziosi. Proviamo perciò a ricordare cosa accadde esattamente in quegli anni, in particolare nel 1979 e nel 1980, e come certe ricostruzioni storiche siano sbagliate, per rendere giustizia a Mennea e per rendere onore alla verità dei fatti.
    Proprio per questi motivi, non starò a parlare di opinioni o di interpretazioni, ma semplicemente di fatti, risultati, cronometri e classifiche. Chi eventualmente vorrà confutarmi lo faccia nello stesso modo, non con le frasi del tipo “ma cosa vai dicendo”. Comincio quindi con la precisazione più semplice, quella sul diritto di Mennea di partecipare alle Universiadi. Mennea nel 1979 ha 27 anni ed è iscritto al corso di Scienze politiche a Bari, sarà la sua prima laurea, cui seguiranno quelle in Giurisprudenza, Scienze motorie e sportive, Lettere. Da notare che alle Universiadi ci sono ovviamente limiti di età per evitare “professionisti” di questa manifestazione, Mennea ci sta dentro quando va a Città del Messico.
    Sul fatto poi di stabilire record in quota si possono anche avere opinioni discordanti, quello che non è accettabile è che ci sia disparità di giudizio fra prestazioni. Qualcuno ricorda una polemica sul record di Tommie Smith nel 1968? Tutti riconoscono allo statunitense la statura leggendaria di grandissimo campione e di primo uomo a correre sotto i 20”. E perché solo a Mennea si contesta il fatto di aver ottenuto il record in altura e non lo si fa anche per Tommie Smith? Fra l’altro, a parte Mennea nel 1979, nell’arco di ben 15 anni solo due altri atleti, anche loro in altura, riescono ad andare sotto i 20”: John Carlos nel 1968, dopo l’Olimpiade, in 19”92 a Echo Summit (Usa), Don Quarrie nel 1971, in 19”86 a Cali (Colombia). Piccola parentesi per John Carlos: prima dell’Olimpiade ’68 corre i 200 in 19”70 a Echo Summit, in altura, ma il tempo non viene convalidato perché gareggia con scarpe non regolamentari, con numero di chiodi superiore a quello autorizzato, quindi con maggiore presa sul terreno e più spinta.
    Ma torniamo ai tempi sotto i 20”. Nessun altro ci riuscirà (a parte di nuovo Mennea, ma a livello del mare, come vedremo fra un po’), anche gareggiando in altura, fino al 1983, quando sono Carl Lewis (19”75) e Calvin Smith (19”99) a infrangere il muro, in pianura. Se è così facile andare più veloci in altura, come mai dal 1968 al 1983 solo in quattro riescono a scendere sotto i 20”? E’ evidente, allora, che correre in quota non è sufficiente per ottenere prestazioni sopra la norma.
    Per eliminare anche questo dubbio su Mennea, però, bisogna affidarsi ancora una volta alle cifre nude e crude. Nel 1980, subito dopo l’oro olimpico a Mosca, Mennea vince i 200 il 17 agosto in un Meeting a Barletta, la sua città, in 19”96, miglior prestazione mondiale al livello del mare, primo uomo ad andare sotto in 20” in pianura. Il primato resisterà 3 anni, fino a quando Carl Lewis non scenderà a 19”75, il 19 giugno 1983 a Indianapolis. Per comprendere ancora meglio il significato di quel 19”96 bisogna considerare che, a parte Lewis, bisogna aspettare il 1988 per avere altri atleti sotto quella quota: gli statunitensi Joe DeLoach in 19”75 il 28 settembre a Seul e Lorenzo Daniel in 19”87 il 3 giugno a Eugene. E poi altro intervallo fino al 1992 con Marsh in 19”73, al 1994 con Regis in 19”87, infine al 1996 con Fredericks in 19”68, Williams in 19”87 e Michael Johnson a inaugurare la nuova era in 19”66 che infrange il 19”72 di Mennea. Quindi, Mennea che è accusato di essere stato capace di correre veloce solo in altura stabilisce un tempo al livello del mare che viene superato solo da un atleta (Carl Lewis, non uno qualunque) in 8 anni, da 3 in 12 anni e da 8 in 16 anni! Nessun altro atleta, nella storia dei 200 metri, ha avuto prestazioni in grado di resistere così a lungo.
     Ma arriviamo a quella che è la più contestata delle imprese di Mennea, l’oro all’Olimpiade di Mosca 1980. Gli Stati Uniti, insieme al blocco dei Paesi occidentali, non partecipano per ritorsione all’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica. Ovviamente, tante gare sono falsate e l’atletica è uno degli sport più colpiti da questo boicottaggio. L’Italia vince tre ori in atletica a Mosca, per due di questi non ci sono polemiche, Maurizio Damilano è primo nella 20 km di marcia e i più forti ci sono, Sara Simeoni vince è prima nell’alto e la sua avversaria più forte, la tedesca dell’Est, Ackermann, c’è. I problemi nascono con Mennea, ma bisognerebbe dire che “si inventano” per Mennea. Certo, una gara di velocità senza gli statunitensi non ha senso e se si guardano le classifiche mondiali del 1980 nei 100 metri è chiaro che l’Olimpiade di Mosca è falsata. Così, l’oro nei 100 va al britannico Allan Wells, che approfitta dell’assenza dei vari James Sanford, Stanley Floyd, Mike Roberson, Harvey Glance, Mel Lattany, Calvin Smith, elenco dal quale sarebbero usciti i tre atleti in gara a Mosca. Per la precisione, questi 6 statunitensi alla fine dell’anno avranno 6 dei primi 9 tempi del 1980 (Sanford e Flooyd i primi due tempi, Wells solo terzo col cronometro dell’oro olimpico) a sancire una superiorità netta.
    Viene automatico pensare che sia lo stesso per i 200 metri. Ma se una considerazione del genere può essere fatta da chi segue distrattamente l’atletica e ha nella testa le immagini degli statunitensi dominatori della velocità, non può essere altrettanto per chi lo sport deve seguirlo professionalmente. E qui davvero non si capisce da cosa nasca la leggenda di Mennea che vince l’oro dei 200 a Mosca “ma senza americani”. E come sia possibile che nessuno degli “addetti ai lavori” non renda le cose più chiare. E allora, proviamo ad avere il quadro esatto della situazione. Nella classifica dei tempi sui 200 nel 1980 Pietro Mennea occupa LE PRIME SEI POSIZIONI (dal 19”96 di Barletta al 20”07 di Rovereto), oltre ad avere 8 delle prime 10 prove cronometriche. Il settimo tempo è dello statunitense LaMonte King in 20”08, ottavo e nono di Mennea (il nono col 20”19 dell’oro di Mosca), decimo Allan Wells col 20”20 dell’argento di Mosca. Quindi, quando si parla di dominatori delle prove di velocità, almeno per quanto riguarda i 200 metri maschili non sono gli statunitensi, il dominatore è Mennea, che ha OTTO DEI MIGLIORI DIECI TEMPI DELL’ANNO.
    E per apprezzare ancora di più il significato tecnico di questa classifica, bisogna far notare che nella storia dell’atletica solo altri due atleti hanno avuto annate di più alta o pari rilevanza, a dimostrare la superiorità evidente nei confronti degli avversari: Michael Johnson nel 1990, con i primi 6 tempi dell’anno e 7 dei primi 10; ancora Johnson nel 1991 con i primi 10 tempi e 11 dei primi 12; Usain Bolt nel 2008 con i primi 5 tempi e 6 dei primi 10. Solo Johnson, quindi, ha avuto annate con un maggior numero di “tempi migliori” rispetto a Mennea, persino Bolt ha un dominio “inferiore”. E Carl Lewis ha come miglior risultato i primi 3 tempi e 4 dei primi 10 nel 1984, a riprova di quanto sia difficile la supremazia nelle gare veloci.
    Questo, ovviamente, non è un termine di paragone sul valore assoluto degli atleti, ma solo un’indicazione il più possibile precisa su quale fosse, in ogni periodo, il rapporto di forze. E’ evidente che in alcuni periodi la concorrenza è maggiore, che ci sia un numero più alto di atleti in grado di scendere sotto certi limiti cronometrici, ma qui non si sta facendo una graduatoria generale dei più forti di ogni tempo, si cerca semplicemente di rendere chiaro il grado di difficoltà della vittoria, perché è questo che è importante stabilire, stante la premessa che Mennea sarebbe stato favorito dall’assenza di velocisti “presunti più forti”.
    L’elenco dei tempi dimostra inequivocabilmente che Mennea, in quel periodo storico, è nettamente il più veloce e che, in quel periodo storico, gli statunitensi non possono stargli alla pari nei 200 metri. Poi, si può pure sostenere che magari la sola presenza di velocisti statunitensi avrebbe potuto rendere Mennea più nervoso, che gli avrebbe messo pressione e provocato la sconfitta. Bene, può anche essere, ma il punto fondamentale è che, anche ammettendo che tutto questo sarebbe potuto succedere, l’eventuale sconfitta di Mennea sarebbe stata la grande sorpresa, non la norma in una gara di solito dominata dagli statunitensi. E questo è esattamente il contrario di quello che si sostiene a proposito dell’assenza degli statunitensi: quelli che non possono partecipare all’Olimpiade di Mosca sono nettamente più deboli di Mennea. Poi Mennea può anche cadere dai blocchi di partenza, ma resta il fatto che i più forti sono a Mosca e gli assenti, rimasti in patria per causa di forza maggiore, sono più deboli.
E anche in questo caso non si tratta di opinioni, ma solo di fredde statistiche. Nel 1981, con Mennea che si ritira una prima volta dalle gare, il tempo migliore dell’anno è dello statunitense James Sanford in 20”20, vale a dire che il tempo con cui Mennea ha vinto l’oro a Mosca (in una gara in cui ha corso male e ha ottenuto solo il suo ottavo tempo dell’anno!) sarebbe ancora il migliore nel mondo. E nel 1982 c’è solo lo statunitense Mike Miller, con 20”15, miglior tempo dell’anno, a superare il cronometro dell’oro di Mosca, con l’altro statunitense Phil Epps che lo eguaglia a 20”19 (secondo tempo assoluto del 1981) e tutti gli altri dietro.
    Bisogna aspettare il 1983 per avere finalmente risultati migliori del 20”19 di Mennea a Mosca: dal 19”75 di Carl Lewis fino a Calvin Smith (19”99), Larry Myricks (20”03) ed Elliot Quow (20”16), tutti statunitensi e tutti sotto quel 20”19. Ecco, nel 1983 l’assenza di questi velocisti farebbe diventare qualsiasi gara dei 200, dei Mondiali o delle Olimpiadi, una barzelletta. Ma nel 1980 no, non ci sono statunitensi all’altezza di Mennea. E già dall’anno prima, il 1979, quello del record, e poi nei due anni successivi, anche quando il campione barlettano non gareggia, non c’è alcuno statunitense in grado di avvicinarsi ai tempi con cui Mennea domina i 200 metri.
    E allora, è mai possibile raccontare ancora la panzana di Mennea favorito dall’assenza dei velocisti Usa nell’Olimpiade del 1980?
Gennaro Bozza
Tags: 12 settembre 1979, pietro mennea, record

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