La violenza sulle donne la può comprendere davvero soltanto una donna. E forse nemmeno lei, se non l’ha provata sulla sua pelle. Va oltre il fatto fisico in sé, la frustrazione, l’abuso, la vergogna, la paura del momento e del futuro, il delicato rapporto col proprio corpo e con l’altro sesso, il senso di colpa più o meno latente e inevaso, eccetera eccetera. Ed è anche più che comprensibile che ognuno abbia il suo tempo per rispondere a domande tanto intime, così come per risolvere le più sconvolgenti angosce e sconfiggere fantasmi che non augureremmo al peggior nemico. Così si spiegano le denunce che stanno scoppiando come bombe ad orologeria a distanza di anni contro personaggi ricchi, famosi e potenti che sono stati coperti da omertà e silenzi. E’ anche giusto che i misfatti vengano alla luce dopo tanto tempo e che sconvolgano le vite dei reprobi con lo stesso fragore col quale hanno stravolto per sempre la vita di donne indifese, e spesso giovanissime. Ma certo l’ultimo caso, con la condanna del medico della nazionale Usa di ginnastica artistica e la confessione di una storica campionessa olimpica come Simone Biles è davvero tremendo.
Capiamo, o almeno crediamo di capire, i sentimenti della ragazza. Ma proprio non capiamo le falsità che stanno coprendo adesso le vere e più importanti domande che questa storiaccia dovrebbe portare alla luce. Con la certezza che situazioni così terribili non siano esistite – e purtroppo non esistano – soltanto in quello sport e in quella nazione, ma in tutti gli sport e in tutte le nazioni. Per cui la necessità più urgente dovrebbe essere quella di allargare il campo e di portare alla luce altri casi, altri colpevoli, altri drammi, anche in casa nostra. Mentre il web si nutre di rivelazioni più o meno scabrose e la cosiddetta giustizia somma anni e anni di prigione (ai 60 già inflitti nel primo giudizio, per detenzione di materiale pedopornografico, se ne aggiungeranno altri fino forse ad arrivare a 125…) per il mostro, Larry Nassar. Invece noi non prestiamo alcuna attenzione al comunicato ufficiale della Federginnastica Usa: ”Siamo affranti, dispiaciuti e arrabbiati perché Simone Biles e qualsiasi nostra atleta è stata danneggiata dagli orribili atti di Larry Nassar. Le difenderemo coi nostri avvocati e continueremo ad ascoltare le nostre atlete e i nostri iscritti per creare una cultura di rafforzamento con un’attenzione sempre maggiore, ogni singolo giorno, alla sicurezza degli atleti”. Pensiamo allo stuolo di avvocati che hanno invece stilato una simile autodenuncia, e domandiamo dov’erano i famosi coniugi Karolyi, gli artefici dei miracoli di tante ginnaste, fra cui anche la fantastica Biles, dov’erano i dirigenti della federazione e del comitato olimpico a stelle e strisce, dov’erano gli altri medici, dov’erano parenti e amici? Dov’erano tutti, mentre questo brutto personaggio violentava quelle povere ragazze?
Certo, l’hashtag #MeToo col quale la sensazionale ginnasta ha aperto il diario dei suoi incubi più inconfessabili rimarrà scolpito fra le storie più terribili dello sport. “Anch’io sono una delle tante sopravvissute che sono state abusate sessualmente da Larry Nassar”, ha scritto Simone in un Twitter. “Esistono molte ragioni per le quali sono stato riluttante a dividere la mia storia, ma ora so che non è stata colpa mia”.
Simone è l’ultima fra le oltre 140 atlete che hanno accusato il mostro. Ed è la più famosa. Ora 20enne, con 5 medaglie all’Olimpiade di Rio (4 d’oro) e 14 ai Mondiali (10 d’oro) ha superato il record di Shannon Miller, diventando la ginnasta più decorata degli USA, la prima ginnasta ad aggiudicarsi i Mondiali individuali per tre anni di seguito (Anversa 2013, Nanning 2014, Glasgow 2015). A un anno, finì in orfanotrofio perché la madre, dipendente da alcol e droga, non poteva occuparsi di lei e dei tre fratelli, a sei, fu adottata dal nonno materno. Della sua triste esperienza con Nassar, non entra nei dettagli, ma la descrive come un “trattamento speciale,” una formula ricorrente delle vittime del medico cui la Federginnastica americana ha affidato tante ragazze. Lo sfogo di Simone è toccante: ”Per troppo tempo mi sono chiesta: “Ero troppo ingenua? E’ stata colpa mia?”. Ora conosco la risposta a queste domande. No, no. non è stata colpa mia. Non mi prenderò le colpe di Larry Nassar, della Federazione e di altri. Dopo aver ascoltato le storie coraggiose delle amiche e dei tanti che hanno subito le violenze so che quell’orribile esperienza non mi definisce”.
Nassar viene giudicato in Michigan, avendo lavorato alla Michigan State University dal 1997 al 2016 come professore associato, e quindi come preparatore atletico della squadra femminile di ginnastica. Ha ammesso di aver abusato anche di ragazze 13 anni, con la scusa di far loro dei trattamenti medici. Ha chiesto perdono per i suoi crimini, ma non sarà l’unico sotto accusa. In tribunale testimonieranno addirittura in 88, e punteranno il dito anche contro USA Gymnastics per complicità con gli abusi del mostro. Quanto altri ce ne sono come lui nello sport?