Se la Giacca Verde del Masters 2016, Danny Willett, arranca clamorosamente, la stella dell’altro inglese, il 27enne Matt Wallace, splende come non mai dopo quattro stagioni molto difficili. All’alba del 2016, il Jamie Vardy del golf che si è presentato in testa al via del terzo giro dell’Open d’Italia al Golf Milano era appena numero 1.173 del mondo e poteva disputare solo il circuito Alps Tour, dove peraltro non aveva ancora vinto una tappa in 46 partenze. Poi, all’improvviso, proprio come il centravanti del Leicester campione di Premier League, è esploso, ha rotto il ghiaccio a febbraio, col primo titolo al Pyramids Open in Egitto, a giugno ha debuttato sull’European Tour al Nordea Masters dove ha chiuso 53°, e a luglio si è aggiudicato il quinto titolo di fila Alps Tour fra cui Vigevano e Frassanelle, rispolverando il talento che aveva messo in luce da amateur. Per poi conquistare anche la sesta tappa del circuito, fregiandosi dell’Ordine di merito e intascando la carta per il Challenge Tour 2017, anche se ha mancato di 14 colpi quella per l’European Tour Qualyifing school. “Chiunque abbia giocato la Q-School potrà raccontare che è la più dura e faticosa esperienza della carriera. Ci sono solo 25 posti, e quando fai uno sforzo così grande e non ottieni nulla in cambio, puoi uscirne con l’anima a pezzi”. Ma ha continuato a crescere anche quest’anno: terzo a marzo al Kenya Open dopo essere stato al comando per 54 buche, a maggio ha vinto il primo titolo European Tour al Portugal Open dopo aver comandato dall’inizio alla fine (“Se mi avessero detto dopo la Q-School che avrei vinto il primo titolo così in fretta gli avrei riso in faccia”), a giugno ha mancato il taglio per sei colpi nel primo Major all’Us Open al quale si era qualificato, e a settembre ha firmato il quarto piazzamento dell’anno fra i “top 10”.
Wallace, figlio di insegnanti di educazione fisica, con papà ex giocatore di rugby ai Wasps anni 70, e lui stesso rugbista e giocatore di cricket, è sempre stato un po’ tardivo, visto he ha cominciato giocare seriamente a golf solo a 18 anni. Dopo un anno in America alla Jacksonville State University e la convocazione nella nazionale inglese, si è incagliato nell’impatto fra il mondo amateur e quello pro, ma poi la sua scalata è stata vertiginosa, fino al numero 150 di oggi. “Non sono interessato a far soldi, voglio solo guadagnare punti in classifica, ed entrare nei primi 100. Perché il sogno della mia vita è entrare fra i primi 10, perché così posso puntare al numero 1 del mondo, e giocare campi mitici come Wentworth. Anche se vincere è la ragione per cui gioco a golf”.
Wallace sembra anche aver concluso il valzer degli allenatori: “Ne ho avuto quattro negli ultimi sei-sette anni, ma mai mi ero trovato così tanto bene come con Matt Belsham che allenava i miei amici Charley Hull e Oli Fisher. Lui, dopo la Q-School 2015 mi ha aiutato col gioco e lo swing, mi ha portato finalmente a vincere perché ho migliorato la tecnica e mi ha tolto pressione sullo swing quando la gara si decide”. Il suo idolo è Alex Noren: “La sua progressione nelle ultime due stagioni European Tour mi ha ispirato ad entrare in qualsiasi torneo non pensando a vincere ma a darmi le migliori possibilità di riuscirci. Se manco il taglio, manco il taglio, ma non voglio avere rimpianti. Ora devo portare il mio gioco a un livello ancora superiore e stabilizzarmi sul Tour. Poi, magari, parleremo di giocare sul Pga Tour”.
L’Open d’Italia potrà dargli altre importanti risposte.
Vincenzo Martucci