Per chi c’era sarà come riaprire uno di quegli scrigni pieni di ricordi che si conservano in soffitta. Per chi non c’era ancora (come il sottoscritto) è stato come entrare in una miniera di pepite d’oro di cui si conosceva l’esistenza ma che era rimasta sempre chiusa. Parlo di “Pezzi di colore” il libro di Franco Bonera, appena pubblicato da Ultrasport (euro 18,50), che in questo spazio riservato ai “Senators” della Gazzetta ha pieno di diritto di cittadinanza, anzi merita un posto in prima fila. Un libro di cui si sentiva la mancanza perché, a mia memoria, nessun collega della Gazzetta aveva approfondito quell’epoca d’oro del nostro giornale che copre per intero gli Anni Settanta, esattamente dal 26 agosto 1970 al 14 dicembre 1980, date di inizio e fine dell’avventura in Gazzetta di Franco Bonera che aveva messo piede in piazza Cavour 2 a 19 anni e mezzo e sarebbe diventato il più giovane giornalista professionista d’Italia.
Un’epoca mitica che Franco, tornato poi in Gazzetta come vicedirettore e fondatore di Sportweek, racconta in maniera impeccabile, con una prosa elegante ed evocativa (che ben conosciamo) capace di accompagnare il lettore come un romanzo in questo tuffo nel passato del giornalismo. Per chi come me ha cominciato a lambire la Gazzetta agli inizi degli Anni 80 (corsi e ricorsi storici: nell’80 mentre Bonera celebrava l’oro olimpico di Sara Simeoni a casa dei genitori io ero alla redazione della Sicilia a passare i pezzi dell’inviato Candido Cannavò) immergersi in quel mondo ha una funzione quasi terapeutica, a tratti anche dolorosa, perché significa ritrovare personaggi ed aneddoti che poi sarebbero arrivati quasi intatti fino a noi, “gazzettieri” dei primi anni 80, che la rivoluzione di Gino Palumbo l’avevamo vissuta di rimando. Il racconto del trasferimento da via Cavour a via Solferino, il cambio di proprietà e il passaggio dal piombo alla fotocomposizione è un trauma che non abbiamo vissuto ma che Bonera ci fa rivivere con dovizia di particolari.
Ecco, la prima cosa che sorprende di questo libro è come abbia fatto Franco a conservare nella memoria – forse aiutato da un quadernino di ritagli e di appunti visto che dichiara fin dal principio di non aver fatto ricorso a ricerche di archivio e testimonianze indirette – questa massa di dati, ricordi, nomi, aneddoti ed episodi raccontati con tanta dovizia di particolari, per non parlare degli stralci di articoli, messaggi e testi di ogni tipo. Un libro che potrà diventare un punto di partenza per tutti quelli che vorranno avventurarsi nella stessa operazione magari per coprire epoche diverse in modo da raccontare tutta la storia della Gazzetta.
Personalmente non ho avuto la fortuna di conoscere l’autore di questo libro a fondo – direi che professionalmente ci siamo soltanto sfiorati – ma sicuramente emerge da queste pagine la figura di un giornalista completo come piaceva a Palumbo e Cannavò: ottimo scrittore (con una predilezione per i pezzi di colore), fine intervistatore ma anche “culodipietra” che è una delle tante espressioni colorite di cui è infarcito il libro. Nel capitolo “Elogio del culodipietra” dedicato a Palumbo, ho ritrovato, a conferma dell’autenticità dell’opera, la stessa espressione che il direttore mi rivolse nel primo colloquio napoletano quando si alzò dalla sedia dell’hotel Royal quasi irritato per le mie aspirazioni di scrittore. “Mi spiace, ma allora non fai per noi. Il giornalismo è un’altra cosa”. Tutti noi avremmo capito poi in redazione che aveva ragione o, meglio, il giornalismo non era solo operazione di scrittura. Citando il libro. “Reputava, infatti, più preziosa nell’ambito di una redazione la figura del culodipietra, disposto a non alzarsi mai dalla scrivania e rassegnato a non sognare per se stesso una carriera da novello Hemingway”.
Sì Bonera non trascurava la cucina, il lavoro in tipografia (diventando il “vice” di Garavaglia), i turni notturni, la realizzazione delle pagine spesso confezionando da solo i propri pezzi. A quanto risulta dal libro si era specializzato nelle didascalie di prima pagina che rappresentava un compito delicato, soprattutto a quei tempi. Quel che più conta è che nel libro veramente si respira l’atmosfera di quella Gazzetta eroica, quella grande famiglia che si è tramandata fino a noi, ragazzi degli Anni 80, anche se qui alcune figure risaltano più delle altre. Così, anche noi che li abbiamo conosciuti ritroviamo le espressioni di Garù-Garavaglia (forse il personaggio che merge di più), del Dovi o del generale Custer indicati (come tanti altri) solo col soprannome ma che sono facilmente riconoscibili.
La prestigiosa parabola professionale seguita da Bonera quando alla fine del 1980 realizzò l’aspirazione a non scrivere solo di calcio passando a “Oggi” e poi a svariati magazine del gruppo Rcs dimostra che la lezione di Gino Palumbo e di Candido Cannavò, conosciuto ben prima dell’approdo in Gazzetta, gli era servita per diventare non solo un grande giornalista ma anche il fine scrittore che ritroviamo in questo libro dedicato esclusivamente alla Gazzetta.