Il re di Corea, Hyeon Chung, clonato dal campione di gomma Novak Djokovic e quindi stoppato da troppi acciacchi dopo il successo alle prime Next Gen Finals di Milano 2017 coi migliori under 21 del mondo, minaccia nuove e più durature fiammate sin dall’alba del 2019. E, dopo la miracolosa ripartenza, il giapponese Key Nishikori, stella cometa del tennis asiatico sulla scia del cinese d’America, Michael Chang, promette un rendimento più continuo delle sue abitudini di atleta sempre mezzo infortunato. Mentre i riflettori si accendono su Chun Hsin Tseng, l’ultimo prototipo “made in Taiwan”, passato attraverso la scuola spagnola e la Mouratoglou Academy in Costa Azzurra, che ha spopolato fra gli junior, replicando quattordici anni dopo Gael Monfils il doppio successo Roland Garros-Wimbledon, con in più la finale agli Australian Open e la semifinale agli Us Open.
Chun non ha le stimmate della star, alla Sascha Zverev, perché è piccolino (1.73) e pesa troppo poco (62 chili), né possiede il tocco di altri fenomeni precoci, alla Richard Gasquet. Ma è dinamico, veloce, tatticamente intelligente e bravissimo nel gestire le emozioni, è un computerino che annulla le qualità degli avversari. Fiero della sua data di nascita, 8 agosto, identica a quella di Roger Federer, ovviamente posticipata di vent’anni, 2001 lui, 1981 il Magnifico. Un segno del destino difficile da dimenticare.
Precoce, come tanti orientali, con le idee chiarissime, il numero 1 del mondo junior proclama: “Il mio idolo è Kei Nishikori, penso che sia il migliore di tutti e penso di somigliargli, come gioco, perciò voglio diventare proprio come lui. I risultati suoi e di coach Chang hanno aiutato noi tennisti asiatici a prendere sempre più fiducia e motivazioni”. Non sorprende che Tseng già si sia aggiudicato due tornei Futures, che abbia debuttato alla grande in coppa Davis (peraltro rifilando un doppio 6-0 al libanese Michel Saade), e che sia fra i primi 500 dei pro (n. 441). “E’ un fenomeno, fisicamente è ancora un bambino ma vince spesso contro quelli più forti e robusti. Il che dimostra grande intelligenza, oltre che capacità tecniche fuori dalla norma”, puntualizza Patrick Mouratoglou che l’ha accolto quando aveva appena 12 anni ed era in prima fila durante la finale di Wimbledon, contro la speranza di casa Draper (il castigatore dell’azzurro Lorenzo Musetti).
Tseng non è l’unico tennista “made in Taiwan”. Il prodotto migliore è ancora la doppista Su Wei Hsieh, che quest’anno, in singolare, con super velocità e resistenza, ha fatto lo sgambetto a Muguruza ed Halep. Tra gli uomini, il pioniere è stato Yen “Rendy” Hsun Lu, primo del paese ad entrare fra i “top 100”, è arrivato al numero 33 Atp nel novembre 2010 quando superò Andy Roddick allora 5 del mondo toccando gli storici quarti a Wimbledon. Anche se oggi, a 34 anni, dopo gli ennesimi infortuni, è sceso al 1.097, ma dopo aver aggiunto però un altro record: ha vinto più challenger di tutti, addirittura 29, l’ultimo a Jinan nell’agosto dell’anno scorso.
Sulla scheda ufficiale Atp, non compare il nome del coach, ma Tseng s’allena da sempre con papà Yu Te che gli ha messo la racchetta in mano a 5 anni e che, stranamente, come prima superficie l’ha allevato sulla terra rossa, accompagnandolo ancor oggi nella sua ascesa. Che, secondo il numero 1 del mondo junior finirà “a 23-24 anni da numero 1 Atp”. Se non si sogna a 17 anni…
*articolo ripreso da agi.it