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Atletica

Berruti, un saltatore … velocizzato

Da Sport Senators 17/04/2017

 Il 18 aprile 1959, a Firenze, Livio Berruti eguaglia il primato italiano dei 200 metri piani che resiste dal 1955. Due mesi dopo, porterà il record a 20.9 e a 20.8. L’anno successivo, l’azzurro correrà in 20.7 in un meeting di preparazione ai Giochi di Roma

 Girano panzane sul conto di Livio Berruti, forse il più grande talento naturale espresso dallo sport italiano. Il vincitore a Roma 1960 dell’oro olimpico sui 200 piani era un purosangue che assecondava i segnali, inequivoci, che il suo fisico gli inviava. Era nemico degli allenamenti insistiti, quelli odierni lo avrebbero allontanato da subito dall’atletica. La più divertente delle panzane ricorre nelle biografie che lo riguardano, dove si legge che Berruti già a scuola, il Liceo Cavour di Torino, “fu attratto dal salto in alto”, disciplina nella quale, secondo il suo sprovveduto insegnante di educazione fisica, avrebbe avuto un luminoso futuro, vista “la forza esplosiva che aveva nelle caviglie”. Ma a 17 anni chi aveva vista lunga, un tecnico di atletica, non faticò a segnalargli che in lui abitava un velocista di talento. Se solo avesse risposto al suo istinto, alle qualità naturali che erano in lui.

    La prima verifica si presentò in occasione dei campionati del Cavour, quando batté facilmente il fenomeno del liceo fermando il crono sul tempo di 11”1 netti, nello stupore generale. Clamorosa la sua performance ai successivi campionati studenteschi, area torinese, quando per mascherarne il talento chi lo seguiva – i tecnici delle Fiamme Oro –  lo indusse a un lauto pasto un’ora prima della finale. Livio era ben più di una buona forchetta, un tritatutto, ingurgitava con metodo quantitativi imbarazzanti di cibo: con lo stomaco appesantito, uno sforzo in piena digestione lo avrebbe zavorrato, causandogli qualche imbarazzo, al più avrebbe vomitato. Niente di tutto questo, Berruti ebbe la meglio con facilità, fermando i cronometri su un fantastico 10” 8.

Quel giorno nacque una stella, capace di eguagliare, a 18 anni appena compiuti, nel maggio 1957, il primato italiano dei 100 metri (10″4), dal lontano 1938 in possesso  di Orazio Mariani. Nel 1958 Berruti limerà di un decimo il primato mondiale juniores, aggiornandolo a 10”3. Ma già i tecnici, Aristide Facchini in testa a tutti, provano per lui la distanza doppia, nella quale lo pensano migliore. Tanto che il padre, Michele, saputo che Livio veniva testato anche sui 200, scrisse, inascoltato, una lettera allo staff della Nazionale, preoccupato per il gracile fisico del figlio.

I risultati parlano per lui: nell’aprile del 1959, quasi ventenne, eguaglia il 21”1 in mano a Vincenzo Lombardo, vecchio di quattro anni, ma si migliora come un portento: due mesi dopo, a Varsavia, porterà il record italiano a 20”9 e a Malmoe, in agosto, lo limerà di un decimo. L’anno successivo, di nuovo a Varsavia, l’azzurro correrà in 20.7 un meeting di preparazione ai Giochi di Roma.

Quando i tecnici lo inducono ad abbandonare l’idea di correre le due distanze all’Olimpiade, perché le due prove, pur in giorni diversi, avrebbero messo a dura prova i suoi muscoli di seta, Livio sorrise, lo aveva ben presente. Il resto è noto, il volo dei colombi che il 3 settembre 1960 accompagnano in finale l’uscita di Berruti da una fantastica curva gli porta l’oro e il primato del mondo, in 20”5, record già eguagliato in semifinale. I battuti, il francese Seye e l’americano Carney, sanno inchinarsi al suo talento. Con una stretta di mano.

Sergio Meda

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Nota sull’autore: Sport Senators

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