Parte il campionato Nba e la domanda, con la D maiuscola, è: i Los Angeles Lakers, acquistato LeBron James, il più forte e carismatico giocatore sulla terra, sono competitivi per il titolo? La risposta è no. La domanda di riserva più gettonata è: dove potranno arrivare?
Nel 2014-15, quando King James tornò a casa da Miami, i derelitti Cavs passarono da 33 a 53 vittorie e dal decimo posto, cioè dal non fare i playoff, alla finale per il titolo persa contro i Golden State Warriors. Più difficile da interpretare la statistica seguente a “The Decision”. Nel 2010 Miami era già una squadra discreta, 47 vittorie in stagione, anche se poi fu spazzata via dai Celtics nei playoff, ma con LeBron divenne super (58 vittore e finale Nba persa con Dallas). La storia, stavolta però, può aiutarci poco. Primo perché a Miami, con LeBron, arrivò anche Chris Bosh e il ritorno a Cleveland fu potenziato da Kevin Love mentre ai Lakers, che partono dalle 35 vittorie del 2018, col Prescelto non ci sono nuove altre stelle, non considerando tali Rondo o McGee.
Il salto di qualità di Los Angeles, quindi, si basa sulla crescita esponenziale dei giovani talenti losangelini al fianco di James, che ci ha abituato a miracoli tecnici anche se puntare al titolo appare oggettivamente eccessivo. Il secondo motivo è forse più consistente: a differenza dell’Est dove ha giocato sempre James, a Ovest si trovano le due squadre più forti, i Golden State Warriors a caccia del Threepeat e gli Houston Rockets, e una quantità di talento diffuso enorme. Anche immaginando dei Lakers con LeBron da 10-15 vittorie stagionali in più rispetto all’anno passato, cioè attorno a quota 50, saranno probabilmente alle spalle di Golden State e Houston e in un testa a testa con un gruppo di grandi squadre, da OKC a Utah, da Portland, che nessuno considera nei pronostici, a San Antonio. E si potrebbe continuare con New Orleans e Minnesota, pur seduta su un Jimmy Butler esplosivo, ma anche Denver, che da molti è considerata come la rivelazione dell’anno, e Clippers. Probabilmente James dovrà accontentarsi di fare i playoff e poi vedere se, innalzando il livello del suo gioco come solitamente fa nella parte decisiva della stagione, riuscirà a spingere in alto anche i vari Ingram, Kuzma e Ball a livelli mai raggiunti prima. Mai dire mai, ma stavolta per LeBron è più dura che in passato.
Ma non c’è solo James ai Lakers. Il precampionato Nba è falso come una banconota da 30 euro e non si possono valutare le nuove squadre almeno fino a Natale, ma secondo tutti gli esperti la situazione si è cristallizzata, soprattutto al vertice. I Warriors con Cousins, che ha solo 28 anni, potrebbero essere ancora meglio che nel recente passato, idem i Rockets con Carmelo Anthony tenuto a bada dal suo amico Chris Paul. Certo che il destino di D’Antoni è davvero bizzarro: appena costruisce una squadra con una identità, gli comprano giocatori condizionanti e antitetici al suo gioco, da Shaquille O’Neal a Phoenix, a Melo prima a New York e poi a Houston. Nei precedenti casi, è affondato, speriamo bene stavolta anche se rischia grosso. La cosa più importante, è che Clint Capela non se ne sia andato. Solo con lui, è possibile avere un Melo da quattro che apre il campo in attacco potenzialmente come pochi al mondo. Ma l’Ovest sarà davvero un dogfight serata dopo serata. E sarà divertente seguire gli Spurs senza i loro grandi senatori ma con un DeRozan in più (considerando che Kawhi Leonard non ha mai giocato l’anno scorso) al fianco di LaMarcus Aldridge: la squadra di Marco Belinelli e Ettore Messina non è malissimo anche senza Parker e Ginobili anche se ha perso anche Green.
Come ormai abitudine nelle passate stagioni, non c’è la stessa abbondanza a Est: è facile dire Boston favorita, arrivata alla finale di conference del 2018 senza Gordon Hayward, che potrà finalmente debuttare in maglia Celtics dopo il rovinoso infortunio dell’anno scorso, e priva anche di Kyrie Irving, che è guarito. Non è, secondo me, invece così scontato che i Toronto Raptors con Leonard siano migliori che con DeRozan, e cioè evitino di naufragare nei playoff pur dopo aver condotto al meglio la stagione regolare. E’ possibile che DeRozan, nel sistena Spurs, elevi il suo gioco mentre Leonard, potenzialmente più completo, capisca presto cosa significhi aver lasciato San Antonio: facile, per uno del suo talento, diventare la prima punta attorniato da tanti giocatori vincenti, un po’ meno essere atteso come uomo franchigia da una squadra che ha sempre fallito il salto decisivo verso il titolo. La novità è che in panchina ci sarà anche Sergio Scariolo, che dopo aver vinto tutto con la Spagna, cerca nuove esperienze come assistente del debuttante Nick Nurse.
E’ probabile che, se non si crea problemi da sola, sia Philadephia la squadra più competitiva con Boston, visto che le cronache estive ci hanno raccontato di un Ben Simmons in campo ogni giorno per migliorare il suo tiro carente e di un Markelle Fultz pronto a prendersi il ruolo di titolare dopo l’infortunio che ne ha inficiato la stagione da rookie. Molto, ovviamente, dipenderà dalle condizioni fisiche di Joel Embid, che l’anno passato si è fermato a 63 partite e che 4 anni la sua scelta nel draft Nba, ha messo assieme solo 102 gare, playoff compresi. Poi c’è Milwaukee, con il candidato mvp Antetokounmpo e altre squadre discrete come Miami, Washington o Indiana. Cleveland? Non è malissimo anche senza LeBron, non crollerà a 19 vittorie come dopo The Decision e a Est potrà fare i playoff. Niente a vedere, però, con quello che c’è a Ovest. In coda troviamo, secondo me, una decina di squadre davvero scadenti per il livello della Nba anche se, almeno, come Sacramento o New York, hanno il dono della grande gioventù. Che da sola non basta per la ricostruzione. Un trend che non fa bene alla competitività Lega (peraltro simile a quello dell’Eurolega di quest’anno…). And the winner is… La logica dice di puntare per il terzo anno consecutivo su Golden State. E, a botte di logica, i pronostici nelle ultime stagioni Nba sono stati piuttosto semplici.
[…] Fonte: sportsenators.it a cura di Luca Chiabotti […]