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“Uomini forti, destini forti. Uomini deboli, destini deboli. Non c’è altra strada” tuonava Luciano Spalletti al termine di un Roma-Sampdoria di qualche anno fa. Una frase che in realtà proviene dalla penna di William Shakespeare e che si potrebbe applicare per qualunque situazione. Questa citazione non è forse appropriata per raccontare la storia di Pietro Paolo Virdis, un grande uomo sia dentro che fuori dal campo, ma dal destino forse troppo debole per quanto ha lasciato.
In questo caso non ci sono di mezzo i successi da giovanissimo con la Juventus, l’esplosione con il Milan di Arrigo Sacchi, la piacevole conclusione con il Lecce. In mezzo ai vari trofei alzati a livello nazionale e internazionale ne manca uno, quel titolo mondiale che non ha mai potuto sognare a causa dell’ottusità dei commissari tecnici di turno che non gli hanno mai lasciato spazio.
Prima Enzo Bearzot, poi Azeglio Vicini non lo prendono mai considerazione tanto da non offrirgli nemmeno un’opportunità per sedere in panchina con la tuta azzurra. Troppo forte la concorrenza di Roberto Bettega che gli fa ombra quando veste il bianconero; troppo ingombrante la figura di Paolo Rossi che lo costringe a lasciare Torino per Udine proprio nell’estate in cui diventa l’ “Hombre del Partido”; troppo grande lo spazio che si prendono i “gemelli del gol” Roberto Mancini e Gianluca Vialli.
Per quanto segni a raffica, per Pietro Paolo Virdis non c’è nemmeno un minuscolo spazio negli anni in cui l’Italia gira il mondo insegnando calcio ai talenti brasiliani e ai maestri argentini. O meglio, uno spazio ci sarebbe anche, se non fosse che “Il Vecio” non ha alcuna intenzione di puntare sui più giovani e per questo in vista del “Mundial” non lo prende nemmeno in considerazione nonostante in Under 21 qualche partita la giochi.
Dopo qualche minuto nella sfida vinta per 4-1 contro il Portogallo nel 1977, ci ritorna nel 1981 per disputare gli ultimi due match decisivi per la qualificazione agli Europei di categoria dove scende in campo nel pareggio a reti bianche con la Scozia che porta all’eliminazione degli azzurri ai quarti di finale. Come ogni negativo, qualcuno deve pagare le conseguenze e ovviamente il primo a farne le spese è Pietro Paolo che non si perde d’animo e continua a segnare a raffica in giro per l’Italia.
Nonostante gli anni passino e le speranze di vestire nuovamente l’azzurro, Virdis ha una seconda occasione nel 1988, anno delle Olimpiadi a Seul. La rosa è ampia e ben fornita: con l’attaccante sardo ci sono il portiere della Juventus Stefano Tacconi, il futuro capitano del Torino Roberto Cravero, l’attaccante del Napoli Andrea Carnevale, il compagno di squadra Ciro Ferrara, il pilastro della retroguardia rossonera Mauro Tassotti.
I ragazzi di Francesco Rocca, subentrato prima del torneo a Dino Zoff, hanno tutte le carte per vincere una medaglia, gli avversari non sono irresistibili e Virdis è pronto a regalare esperienza e valanghe di gol. La conferma arriva all’esordio con un gol rifilato al Guatemala e due assist per Ferrara e Stefano Desideri che chiudono la sfida sul 5-2. Certo, la difesa non brilla, ma dopotutto la squadra sa fare il proprio dovere.
A Seul qualcosa stride nella testa degli azzurri che soffrono un caldo umido, di quelli che si vivono a luglio in Pianura Padana, ma che non l’arrivo di settembre si placano senza problemi. Qui siamo in Corea del Sud, non in Italia e a fine estate la colonnina di mercurio supera ben oltre i trenta gradi. Un clima ideale per una nazionale abituata al caldo come lo Zambia che, dopo aver pareggiato 2-2 con l’Iraq, si prepara a sfidare Virdis e compagni.
Sembra una passeggiata di salute per chiudere il discorso qualificazione con una giornata d’anticipo e riposarsi in vista dei quarti di finale. Sembra, perché al quarantesimo arriva una doccia gelida a cui nessuno vorrebbe sottoporsi. Angelo Colombo perde palla a centrocampo, la palla arriva a Charles Musonda che nemmeno guarda chi si trova davanti e fa partire un implacabile Kalusha Bwalya che mette in crisi la difesa tricolore. Tacconi gli va incontro, ma non può far altro che smorzare un tiro che finisce in fondo alla rete.
Si va negli spogliatoi sullo 1-0 per gli “orange”, ma la situazione è più grave del previsto: le temperature elevate hanno fuso la mente dell’Italia che ha finito le energie e non sa più come rispondere. Dopo dieci minuti si replica: punizione dal limite per lo Zambia a causa di un’entrata di Ferrara per nulla in giornata, area completamente sguarnita e Kalusha Bwalya che, invece di crossare, coglie di sorpresa un Tacconi bloccato.
Gli azzurri corrono verso l’arbitro lamentandosi che la punizione è di seconda, ma il direttore di gara non ne vuole sapere e convalida la rete. E’ 2-0. A quel punto Rocca richiama in panchina Cravero e Colombo per inserire Luca Pellegrini e Massimo Crippa, ma al sessantatreesimo Johnson Bwalya fa partire un pallonetto deviato dal difensore della Sampdoria che lascia ancora una volta di sale Tacconi.
Non c’è più nulla da salvare, i giocatori dello Zambia sono una furia che si abbatte per l’ultima volta al novantesimo quando Kalusha Bwalya sfrutta al meglio una verticalizzazione per raggiungere l’area azzurra, completamente sguarnita, e infilare per la quarta volta Tacconi.
Virdis non può fare molto se non rimboccarsi le maniche e ripartire dalla sfida contro l’Iraq, decisiva per il passaggio del turno. Rocca finisce nella bufera, nello spogliatoio c’è aria di ribaltone con Cravero che viene messo alla porta a causa di alcuni battibecchi con il ct e il presidente federale Antonio Matarrese costretto a raggiungere la Corea per sedare gli animi. Le accuse sono pesanti: si parla di una preparazione raffazzonata, di schemi stravolti rispetto a Zoff, addirittura di 4000 dollari regalati all’ambasciatore dello Zambia come omaggio per la grande vittoria.
Il match contro l’Iraq diventa decisivo e gli uomini di Rocca non si sciolgono battendo gli avversari per 2-0 con i gol di Ruggero Rizzitelli e Massimo Mauro, ma centrando soprattutto il pass per i quarti dove arriva la Svezia. Centoventi minuti di pura sofferenza con Virdis autore del vantaggio al 50’, ma costretto a vedere i suoi farsi riprendere all’84’ Jan Hellström. Si va ai supplementari e l’Italia si salva grazie all’estro di Massimo Crippa che al 98’ conduce la Nazionale alle semifinali.
Contro l’Unione Sovietica Virdis è nuovamente protagonista in un match sulle “montagne russe” che rappresenta una sorta di riscatto dopo la sconfitta agli Europei di qualche mese prima. Il sardo porta avanti la compagine tricolore al 50’ che subisce però la rimonta dell’“Armata Rossa”, capace di pareggiare con Igor Dobrovolskiy al 78’. Si va verso i supplementari, ma in questo caso la fortuna non arride agli azzurri che subiscono il gioco dei russi, capaci di trafiggere Tacconi con Arminas Narbekovas al 92’ e Oleksiy Mykhaylychenko al 106’.
Inutile l’assist di Virdis per il gol di Carnevale che chiude la sfida sul 3-2, il sogno di replicare l’oro di Berlino 1936 è ormai svanito e con esso si spegne la possibilità di aggiudicarsi una medaglia complice il netto 3-0 inflitto dalla Germania Ovest nella finale per il bronzo. È la fine dell’esperienza della Nazionale Olimpica, sostituita dall’Under 21, così come dell’avventura in Nazionale di Pietro Paolo Virdis che, nonostante un talento importante, dovrà soccombere a un destino azzurro troppo debole per lui.