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Sport

Pietro Sighel, una vita sulle lame fra short track e pieghe da MotoGp

Da Marco Cangelli 19/11/2023

Le pieghe sono come quelle dei funamboli della MotoGp, solo che sotto i piedi c’è un paio di pattini affilati. Un pericolo in più per Pietro Sighel che, oltre alla forza centrifuga, deve combattere ogni volta con le spinte degli avversari e con il ghiaccio.

Il 24enne trentino rappresenta la stella dello short track maschile che, dopo i fasti di Fabio Carta, è tornato sul gradino più alto del podio dopo oltre un decennio sia agli Europei che ai Mondiali. L’alfiere delle Fiamme Gialle è stato grande protagonista alle Olimpiadi di Pechino 2022 con due medaglie in staffetta e, in vista di Milano-Cortina 2026, è pronto a mettersi in proprio.

Pietro, come sono andate le prime due tappe di Coppa del Mondo?

Siamo stati fra i primi a iniziare la stagione e posso esser soddisfatto delle gare inaugurali. La squadra ha raccolto buoni risultati sia a livello individuale che di squadra. L’importante è esserci, poi l’annata è ancora lunga quindi ci sarà tempo per fare meglio.

Quest’anno sono arrivati anche diversi atleti provenienti dalla categoria juniores. Quali sono le prospettive per la Nazionale?

Grazie a una serie di coincidenze, quest’anno ci siamo trovati con una squadra molto giovane. Considerate che io sono il secondo più anziano. Le prospettive sono comunque buone perché questi atleti sono molto forti e nei prossimi anni vedremo dei miglioramenti. Ovviamente è necessario lasciargli tempo, ma fra qualche anno diventeranno ancor più forti.

Essendo la stella dello short track italiano, sente sulle spalle il peso di dover guidare questa squadra?

Non sento molto la pressione perché sono agli inizi e non vorrei prendermi questo ruolo. Mi è sembrato addirittura di esser tornato junior, quando si facevano le trasferte con atleti della stessa età, il tutto in un contesto diverso. Per certi versi sto ritrovando quella tranquillità che solo un gruppo di coetanei ti può offrire.

Pietro Sighel affronta i Mondiali © Rino Vanhooren Photography

C’è della competizione fra di voi?

Assolutamente, anche perché al massimo possono esser convocati sei atleti per ogni appuntamento. Ciò ci costringe a ottenere ottimi risultati per esser scelti dal direttore tecnico e, anche una volta raggiunta la Nazionale, è necessario continuare a metter in mostra il talento. Per prendere parte alla staffetta è necessario anche fare sforzi ulteriori.

C’è competizione anche con sua sorella Arianna?

C’è, ma forse più da bambini. Quando cresci, le cose si vedono in maniera diversa e quindi diventa uno stimolo, un supporto, piuttosto che quella competizione che c’è fra ragazzini o fra amici.

Voi gareggiate insieme anche nella staffetta mista. Quanto aiuta aver un legame familiare nei cambi?

Il feeling si costruisce in allenamento provando molte volte, quindi essere fratelli conta fino a un punto. Questo legame ci aiuta perché ci conosciamo perfettamente, ma il cambio migliora soltanto allenandosi.

Alle Olimpiadi di Pechino 2022 è arrivato un bronzo nella staffetta maschile e un argento in quella mista, mancando l’oro per un soffio. C’è un po’ di rammarico per non aver centrato il titolo?

Noi ci abbiamo provato, anche perché il nostro obiettivo era proprio l’oro. Ci siamo andati vicino e va benissimo così. Chiaramente il rimpianto c’è perché, a differenza della Coppa del Mondo, le Olimpiadi sono ogni quattro anni.

I Cinque Cerchi li ha conosciuti già da bambino visto che suo padre Roberto ha rappresentato l’Italia nella pista lunga. Perché non ha deciso di seguire le sue orme?

Fino a diciannove anni ho gareggiato in entrambe le specialità. Poi ho scelto lo short track da una parte perché avevo ottenuto dei risultati molto più importanti e nel breve periodo sarei stato molto più competitivo, dall’altra perché se fosse andata male lì, sarei stato in tempo per cambiare e spostarmi sulla pista lunga. Avendola fatto per molti anni, avrei potuto cambiare disciplina senza problemi, invece il percorso inverso non sarebbe stato possibile farlo.

Sighel sul podio con l’oro © Have an Ice Day
Quali velocità raggiungete sui pattini?

Sul giro secco raggiungiamo anche i 55 chilometri orari, sui 500 metri ci fermiamo ai 50 all’ora. Più che la velocità siamo alle prese con un’elevata forza G dovuta alle curve troppo strette e alle pieghe che ricordano molto quelle della MotoGp.

Visto che la pista è breve, in quanto tempo decidete se buttarvi oppure no in uno spazio per superare?

La scelta è uno degli elementi fondamentali della nostra disciplina a livello tattico. Bisogna quindi esser molto veloci perché, prima di entrare in pista, si può far un’idea su come affrontare la gara, puoi decidere chi e come superare,

Sulla base di quali elementi decidete se affrontare o meno il sorpasso?

Principalmente la scelta nasce sulla base della velocità che ha l’avversario davanti a te, che ha quello che lo precede e che hai tu stesso. Se sei tanto più veloce di chi hai davanti, è più facile fare un sorpasso, completarlo pulito e di conseguenza prendere la decisione visto che sai che andrà a buon fine. Meno differenza di velocità c’è, più difficile diventa completare l’operazione. Si rischia di rimanere quindi bloccati e di venir colpiti da una squalifica per fallo.

Lei è specializzato sui 500 metri, ma gareggia anche su altre distanze. Quali sono le differenze?

I 500 sono una sparata, mentre i 1000 e i 1500 sono più tattici. Il chilometro rimane probabilmente la gara più difficile da affrontare perché si parte con una velocità di crociera molto alta e ciò impedisce di superare. Se poi si consuma troppo all’inizio per difendere la posizione, si rischia di arrivare alla fine stanchi venendo quindi superati. E’ difficile trovare un compromesso per evitare di spendere troppe energie. Il 1500 è la gara più tattica in cui, anche chi non ha troppa resistenza, può sfruttare dei buoni risultati.
Avendo conquistato lo scorso anno sia l’Europeo che i Mondiali, quali somiglianze hai notato fra le due gare?

Sono state due prove opposte perché all’Europeo sono partito in testa e ci sono rimasto sino alla fine. Una modalità che non mi sarei mai aspettato considerato che in genere io fatico all’inizio e preferisco rimanere più coperto. Ai Mondiali sono scattato per quarto e sono rimasto sempre nel gruppo. All’ultimo giro ci sono stati dei contatti e così ho sfruttato la situazione. All’uscita della curva finale mi hanno lasciato più spazio. Ciò mi è bastato per mettere davanti il piede e vincere al fotofinish.

In conclusione, come si vede alle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026?

Spero di arrivare più forte e giungere al massimo della forma. Poi si vedrà, anche perché tutti si presentano nel migliore dei modi e quindi diventa difficile fare previsioni.

Ascolta l’intervista nel podcast “Fiocchi di Ghiaccio”: https://open.spotify.com/episode/4nwbBfeYvnk9HeNbRJ6gWl?si=g7YCb7HbRAS21tb4esruVg
Tags: #short track, Arianna Sighel, Fiocchi di ghiaccio, Pietro Sighel

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Nota sull’autore: Marco Cangelli

Nato il 4 giugno 1997 a Bergamo, svolge il ruolo di giornalista pubblicista dal 2016 collaborando con una serie di testate online. Laureato in Scienze Storiche con un Master in Radiofonia, lavora attualmente nella redazione di SportMediaset svolgendo conducendo una serie di programmi presso Radio Statale e Radio RBS. Appassionato di sport a 360 gradi, ha seguito 3 Olimpiadi e un giorno sogna di poterlo fare dal vivo.

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