Doppio autogol, fors’anche triplo, un autentico suicidio mediatico per lui e per tutto il tennis maschile mondiale che dovrebbe ripartire ufficialmente il 14 agosto a Washington. A prescindere dalle solite, sterili, sciocche prese di posizione sui social network dei tifosi, subito acremente divisi fra pro e contro i magnifici tre del tennis come si fa in politica, a prescindere, la situazione è chiarissima. Mentre Rafa Nadal ha messo le mani avanti da tempo sui tempi di recupero alla normalità agonistica dopo la pandemia da corona virus e Roger Federer prima si è chiamato fuori da solo e poi è uscito di scena per un’altra operazione al ginocchio, rinviando il ritorno in campo direttamente al 2021, Novak Djokovic è entrato nei guinness dei primati come il guastafeste alla sua stessa festa, l’Adria Tour, il torneo-esibizione che ha organizzato nei Balcani con la collaborazione della Federtennis croata. Il re dei tennisti, il dio di Serbia, il feroce candidato al GOAT – il più grande delle racchette di tutti i tempi – fra Belgrado e Zara ha peccato di gravissima leggerezza. Alla vigilia delle gare, ha sancito “sua sponte” la fine del Corona Virus, scatenandosi nelle danze a torso nudo con gli amici dell’ATP in discoteca, quindi non s’è opposto al totale via libera al pubblico in tribuna come se nulla fosse accaduto da cinque mesi in qua, alla faccia delle regole sul distanziamento che noi comuni mortali tuttora osserviamo in tutto il mondo.
Così, attorno a lui si sono afflosciati, uno dietro l’altro, ammalati, “Baby Federer”, il collega bulgaro Grisha Dimitrov, la speranza croata Borna Coric, l’amico Viktor Troicki (e anche la moglie incinta), il suo preparatore atletico, l’italiano Marco Panichi, e l’allenatore di Dimitrov, Christian Groh. Lui stesso, groggy, ha rinunciato alla finale, assistendo al crollo del suo stesso sogno e rimanendone travolto. Ha incassato le bacchettate sulle dita dal “cattivo ragazzo” – sì, proprio lui, Nick Kyrgios -, cui non è parso vero poter applaudire ironicamente il presidente dei tennisti professionisti: “Complimenti per la leadership, giocare tornei così è stupido, ecco cosa succede quando non si rispetta alcun protocollo”. Cui si sono aggregati l’inglese Dan Evans (“Ha dato un cattivo esempio”) e l’americano Noah Rubin (“Ancora una volta l’1% dei giocatori prende decisioni che toccano tutti gli altri”). Di più: Nole ha assistito all’autoflagellazione dei compagni di merenda, Dominic Thiem, Sasha Zverev, Andrei Rublev e Marin Cilic: “Ci scusiamo per aver messo a repentaglio la salute di gente, cominciamo due settimane di quarantena volontaria”. Finché, anche lui, Super-Novak, il campione di gomma re di 17 Slam (due meno di Nadal, tre di Federer), ha alzato bandiera bianca: “Subito dopo il ritorno a Belgrado abbiamo effettuato i test, il mio e quello di Jelena sono risultati positivi, quelli dei nostri figli negativi. Tutto quello che abbiamo fatto è stato fatto con il cuore e con intenzioni sincere. Il nostro torneo aveva un carattere umanitario con l’idea di aiutare i tennisti della zona, per consentire loro di giocare, di guadagnare qualcosa in modo da superare meglio questo difficile periodo. Abbiamo organizzato il torneo quando il virus si era indebolito, pensando che ci fossero le condizioni perché si svolgesse senza problemi. Mi dispiace tantissimo per tutti i casi di contagio. Seguo i consigli dei medici e spero che il numero dei contagiati non crescerà e non vi saranno complicazioni sanitarie. Resterò in auto-isolamento per due settimane, e rifarò il test già fra cinque giorni”.
Sicuramente Nole era ed è in buona fede, sicuramente ha mal valutato la situazione, ha super-qualificato il fisico suo e dei colleghi, non ha considerato tutti i rischi. Lui che poco fa già aveva sorvolato clamorosamente sul proprio ruolo sociale, promettendo di abbandonare il tennis se avesse dovuto vaccinarsi per continuarlo non è l’unico responsabile di questa follia. Ma, come simbolo, sarà quello che pagherà maggiormente.