I miei amici romanisti mi mandano sms che metto in ordine sotto l’ombrellone. Sono preoccupati, oltre che orfani ormai rassegnati del genio di Totti, dalle strategie apparentemente stravaganti del nuovo direttore sportivo, il famoso Monchi. Perché, si chiedono, privare di alcuni dei suoi pezzi migliori una squadra che è arrivata seconda in campionato arrendendosi soltanto allo strapotere della Juve? Quali analogie ci sono tra la Roma di Garcia, che vinse le prime dieci partite di campionato dopo essere stata smontata e rimontata, e quella del transfuga Spalletti, qualificata per la Champions senza preliminari?
Le ansie sono comprensibili molto più del Fair Play, misteriosa giustiziera dell’Uefa, ma se guardate la storia americana della Roma c’è una curiosa costante: da Sabatini a Monchi, la società ha sempre valorizzato e poi ceduto il difensore centrale, quello che una volta si chiamava stopper e aveva il numero 5. Tutto è cominciato con un presunto fenomeno come Marquinos, spedito a Parigi in cambio di mezza torre Eiffel. E’ partito Benatia, ingaggiato dal Bayern prima di approdare alla Juventus. E’ andato via Yanga Mbiwa, lasciando ai tifosi il ricordo di un gol alla Lazio. E adesso parte per San Pietroburgo anche Manolas, senza dubbio uno dei migliori del campionato. Se a questo elenco aggiungete Romagnoli, ceduto al Milan, avrete un quadro completo delle strategie di Trigoria.
C’è poi la cessione di Salah, che iscrive un record nella storia della Roma: 42 milioni più bonus sono la somma più alta mai incassata dal club giallorosso. La classica proposta indecente che non si può rifiutare.
Bene, ai miei amici romanisti dico di pazientare con fiducia. Gli errori del mercato sono altri: Iturbe, Doumbia, i dieci milioni regalati al Sassuolo nella sciagurata operazione Pellegrini. Ma proprio da Pellegrini ripartirei per dare alla squadra un’identità romana, completata da De Rossi e Florenzi, il vero grande acquisto della Roma che sarà comunque difficile migliorare.
Enrico Maida (foto tratta da www.forzaroma.info)