Il campione è così: talmente evidente che non ha bisogno di se e di ma. Convince tutti. Così, il giorno dopo la finale del Masters e il trionfo di coppa Davis 47 anni dopo il Cile, Jannik Sinner lascia a bocca aperta anche i due più grandi campioni del tennis italiano Pietrangeli e Panatta, che gli danno del tu come fra pari. Dall’alto dell’Olimpo, Nicola e Adriano pur così apparentemente e dichiaratamente diversi, ma insieme così uguali per tanti aspetti, a cominciare dall’ego che dev’essere per forza importante in un primattore, per continuare con la ricerca insistita del bello, per lo stile di gioco unico e irreplicabile, per l’individualismo esasperato, per il carisma che diventa snobbismo.
TENNIS + UOMO
Ognuno dei due, nella sua epoca, è stato il migliore e non vogliamo – e possiamo – stilare classifiche fra epoche diverse. Ma mettendo insieme il tennista e l’uomo, oggi, il Profeta dai capelli rossi strappato allo sci sulle sue montagne dell’Alto Adige, atleta naturale, già allenato a tenere le ginocchia basse, elastico e reattivo, oltre che volitivo e resiliente, anche in virtù degli appena 22 anni, ha superato entrambe: è il più forte di sempre del nostro tennis. Perché non ha quelle che Aààdriano – protagonista della prima popolarizzazione delle racchette negli anni 70 con la triplice Roma-Parigi-Davis — chiama scorie, le imperfezioni psico-tecno-fisiche-caratteriali che si guastavano ulteriormente in un ambiente che un dirigente illuminato e drastico come Angelo Binaghi ha sanato dal 2000.
GAJARDO
Mai Nick e Adriano avevano accettato compiutamente un erede: quando sono apparsi Cané, Camporese e Fognini, per citare i maggiori talenti dagli anni 80 in qua, facevano sempre le faccine furbette. Oggi, invece, per la prima volta dopo chissà quanto tempo, sono d’accordo. “Sinner è un carro armato che se vince la guerra da solo. E’ gajardo, alla romana. Anche quando sbaglia non ti dà mai l’impressione di pensare: “Oddio, Oddio, che ho fatto”. Anzi quasi sorride, è un esempio. E’ un fenomeno. Non va mai in difficoltà. Per me non si guarda, si ascolta: il rumore della sua palla ha qualcosa di più degli altri. Se non sarà l’anno prossimo, fra due, darà un ”15” di vantaggio a tutti. Per come tira forte mi ricorda Lew Hoad”. Mai sentito Pietrangeli così generoso, va oltre: “E’ diventato un uomo, e che uomo. Con questo “panzer division” e la squadra così giovane possiamo vincere ancora più Davis. Ha anche lo spirito giusto: perché capisce che gioca per il suo Paese mentre altri sembravano più interessati al price money”. E Panatta proclama: “Sta diventando il peggior incubo di Djokovic perché tira più forte di lui, è intelligente come lui, lotta almeno come lui ed molto più giovane di lui. Come Borg abbandonò per colpa di McEnroe, come McEnroe lo fece quando arrivò Boris Becker, penso che Sinner l’anno prossimo lo batte un altro paio di volte e Djokovic decide di smettere”.
UOMO SQUADRA
Anche un cieco ha capito che la Davis è tornata in Italia perché, dopo Panatta, è spuntato fuori un altro campione. Che però professa umiltà. “Abbiamo avuto la mentalità giusta, grazie a tutti gli italiani, quelli che sono venuti a Malaga e quelli che ci hanno spinto da casa. Io ho portato tanta energia dal Masters a Torino e tutti insieme abbiamo fatto squadra. Ringrazio i compagni che, lottando a Bologna dove non potevo giocare mi hanno permesso di essere qui. Mi sono sentito un uomo squadra sin dalla prima convocazione, e qui ci siamo spinti a vicenda: questo è il segreto di questo titolo”. Coinvolgendo Berrettini, che deve ancora restare in panchina. E salutando Tathiana Garbin, che oggi affronta la battaglia più difficile, riportandoci tutti coi piedi per terra. Così trasforma magicamente l’io in un noi come nessun altro grande campione italiano mai, da Giacomo Agostini ad Alberto Tomba da Pietro Mennea a Valentino Rossi a Gianmarco Tamberi (inclusi ovviamente i nostri eroi Pietrangeli e Panatta). “E’ umile, è un esempio per come sta in campo e fuori, non è il classico italiano, per quanto è puro, semplice, diretto e insieme concreto e chiarissimo sembra un Hamish, è di un mondo diverso, ci riporta un po’ alle cose più reali degli anni 60”, concorda Paolo Bertolucci, uno dei magnifici 4 della Davis del ’76, oggi telecronista Sky. “Il nostro maestro Mario Belardinelli perderebbe il cervello per un ragazzo così, che riconosce i valori della vita. L’ho avuto vicino a ristorante a Torino, lui e la sua famiglia, pacati anche le parlare e nei modi. Non è spaccone, non è spavaldo, non si farà rovinare: sì, mettendo insieme l’uomo e il campione è il più forte tennista italiano di sempre”. Un campione che la cicogna ha lasciato di qua delle Alpi.
(Foto di Marta Magni)