Bloooog!
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La crisi azzurra, il risultato più negativo della Nazionale nella sua storia più che centenaria (prima partita Italia-Francia 6-2, a Milano il 15 maggio 1910), è già in fase di digestione. Direi addirittura di smaltimento del rifiuto. La sconfitta con la Macedonia del Nord e la seconda mancata qualificazione ai Mondiali finiscono nell’umido (fresco), tutte le polemiche annesse e connesse e anche la speranza di una svolta nella gestione della Nazionale nell’indifferenziata (materiale indeperibile).
Si sente in giro già aria di condono generale, di giustificazione, di sì dai teniamoci stretti. A una macchina col motore sfondato riverniceremo la carrozzeria. Ancora qualche giorno e di questi avanzi della crisi azzurra non ne avremo più traccia. Di tutti questi rimorsi di coscienza e impeti riformatori (Gli stranieri! La Serie A! I ritiri! Gli spazi azzurri! I campioni! I giovani!) che sentiamo infuriare adesso – ma già meno rispetto alle prime ore dello sprofondo palermitano – non ne sapremo più nulla, per tornare sordidamente e tranquillamente alla status quo ante. E veder poi riapparire il fumo delle solite beghe alle prossime qualificazioni europee o mondiali, alla prima controversia sulle convocazioni, al primo possibile conflitto tra Nazionale e calendari, Nazionale e club.
E scoprire così che alla base di questa crisi ormai endemica – interrotta solo dall’inattesa vittoria di Wembley agli Europei nel luglio 2021 – c’è di fondo tutta la nostra ipocrisia, tutto il nostro opportunismo, e il nostro stupido modo di sollevare polveroni senza mai risolvere i problemi alla radice.
Siamo in presenza della classica bufera mediatica che brucia e soffia via le scorie lasciate nell’aria dal fallimento azzurro. Ma nessuno sta andando a spegnere davvero l’incendio che sta bruciando alla base il nostro calcio.
La mancanza di dimissioni di chiunque sia stato coinvolto in questo sprofondo nell’abisso azzurro è una grave mancata assunzione di responsabilità. Possiamo qui discutere della posizione di Roberto Mancini ct – secondo me, andando un po’ controcorrente, ha comunque delle responsabilità – che effettivamente è oggi la parte migliore e più salvabile dell’inatteso disfacimento azzurro, ma il gesto sarebbe comunque doveroso e non unicamente formale.
Servirebbe ad aprire ufficialmente la crisi di governo, chiamare i partiti ad esporsi, obbligare il capo del governo (Gabriele Gravina, Federcalcio) a trarne a sua volta le conseguenze e obbligare il presidente della Repubblica (Giovanni Malagò, Coni) a intervenire. Senza lavarsene le mani ed evitare così di andare a toccare una materia incandescente che rischia di bruciare pure lui.
Se davanti al più conclamato disastro della storia azzurra nessuno si dimette, o almeno fa il gesto e mette a disposizione il proprio mandato, vuol dire che è stato solo un incidente, un fatto poi non così grave, un evento negativo ma non sistemico e comunque rimediabile nel breve. No, lo scontro serve, e a questo punto, è anche necessario, inevitabile.
Non c’è nessun dramma in questa crisi, perché i drammi sono altri, certo, ma soprattutto perché ormai ci siamo abituati, assuefatti. Non c’è un nuovo dramma, è sempre la stessa storia. Per essere un’eliminazione perfetta sarebbe bastato battere la Macedonia del Nord e al limite, se proprio si doveva mancare il secondo mondiale consecutivo, cedere solo al Portogallo di Cristiano Ronaldo. Lì davvero avremmo tutti allargato le braccia: beh, che avremmo potuto farci? Rassegnazione.
Il problema di fondo è che ragioniamo tutti ancora con gli stessi schemi, vediamo tutti il calcio più o meno nella stessa maniera. La Juve, l’Inter, il Milan su tutto, poi viene il resto. Il fallimento della Nazionale non è nemmeno la peggiore delle sciagure possibili, sportivamente parlando certo.
Purtroppo non c’è niente di aggiustabile con l’ordinarietà o peggio ancora l’indifferenza, per risolvere questa crisi serve un governo almeno di ampia maggioranza. Servono decisioni forti, andare a espropriare poteri che i club hanno accaparrato negli anni con la loro arroganza, smontare monopòli illegittimi e dittatoriali. Tutto abbastanza utopistico e risolvibile solo andando a cercare un Mario Draghi, o chi per lui, che possa mettere una toppa a questa gigantesca falla che sta facendo affondare l’intero calcio italiano. E non solo la Nazionale.
Non si può rifondare la Nazionale con tutti i bei progetti che abbiamo sentito – ripeto, siamo alla quarta grande crisi azzurra dal 2008 in poi (Sud Africa 2008, Brasile 2014, Svezia 2017, Macedonia del Nord 2022) e sentiamo più o meno sempre le stesse cose, senza che una sola sia stata realizzata – se di fatto lasciamo che siano sempre i club l’unico centro di gravità permanente del calcio italiano. E li lasciamo anche stare lì dopo che quella posizione vitale hanno occupato.
I club controllano l’economia del calcio – con pessimi risultati tra l’altro visto che la maggior parte di loro hanno bilanci in rosso e indebitamenti paurosi – controllano l’organizzazione, i calendari, il management delle strutture comuni, i format dei campionati, il patrimonio dei giocatori è considerato loro “proprietà” al 100% quindi di fatto danno i giocatori in “concessione” quasi a farti un favore, controllano e gestiscono tutte le poltrone del potere politico sportivo. Non hanno nel concreto, rimanendo al paragone politico governativo, alcuna opposizione.
L’interesse degli Agnelli, degli Zhang, degli Scaroni, dei Marotta e dei Nedved, dei De Laurentiis, dei Friedkin, dei Lotito e via così va più verso la Superlega che verso la Nazionale. E’ un indirizzo confindustriale, egoistico, accentratore, monopolistico e separatista, del tutto opposto a quello della Nazionale, che invece presuppone un’unità di tipo ideale. E comporta più sacrifici che soldi, vittorie rare. Ma ormai lo sono anche quelle dei club, se è per questo…
Non è sempre stato così, è il calcio degli ultimi 10-15 anni che ha preso questa strada sbagliata. La Lega di Serie A, e particolarmente alcuni club più di altri, ha preso il sopravvento, di fatto espropriando la Federcalcio di alcune sue prerogative, lasciandole solo una parziale, ridotta e parziale gestione degli arbitri e della Nazionale appunto. E tenendo alla guida della Federcalcio stessa presidenti dai poteri ridottissimi, che non hanno nessuno voglia di fare la guerra ai club. Anche perché su quelle poltrone sono stati messi dalle società di calcio. E dunque pagano pegno.
Faccio giusto un banalissimo esempio per essere chiaro. Prima della famigerata partita con la Macedonia del Nord si è chiesto di introdurre una sosta per consentire alla Nazionale un ritiro e una preparazione migliore al play off mondiale. Penso che ormai non sarebbe probabilmente servito a nulla, ma se ne è parlato. E comunque i club non lo hanno concesso e amen. Il presidente Gravina se ne è lamentato un po’ giusto dopo, a frittata ormai fatta. Ma non ha fatto assolutamente nulla prima.
Al presidente della Federcalcio non è mai nemmeno saltata in testa l’idea di “prendersela” quella domenica, di imporre la sosta ai club. Perché non ne aveva più i poteri, perché gli erano stati tolti, e soprattutto perché non ne aveva alcuna voglia o alcun coraggio di andare al braccio di ferro con chi ha molti più muscoli di lui.
Ecco, penso che ai tempi dei Franchi, Sordillo, Matarrese o del commissario Guido Rossi non sarebbe successo. Quella domenica di sosta se la sarebbero presa d’imperio, per il superiore interesse della Nazionale, e le società avrebbero dovuto provvedere di conseguenza. Nel rispetto di rapporti di forza e scale gerarchiche molto differenti.
I club hanno invece manomesso le fondamenta del calcio, perché personaggi del genere – pure alcuni di loro abbastanza discutibili e affascinati dal potere a loro volta – non potessero controllare e guidare una Federcalcio troppo forte e contrapposta alle società di calcio.
Una riforma della Nazionale e del calcio è possibile solo con il riequilibro di questi poteri, andando a riprendersi tutto quello che i club hanno preso al calcio con la loro prepotenza, l’arroganza dei soldi, il controllo delle fonti di finanziamento.
La Federcalcio deve tornare a controllare i format dei campionati, gestire i calendari compatibilmente con le esigenze di tutti non solo dell’Uefa, deve poter imporre regole e strutture sui settori giovanili, avere libertà di gestione dei calciatori azzurri. La Lega di Serie A deve essere pesantemente estromessa da tutto quello che non sia la gestione dei diritti economico finanziari del calcio. Deve essere un organismo subordinato alla Federcalcio, che è l’organo politico principale attraverso il quale si organizza e si gestisce il gioco del calcio in Italia. Così come le altre Federazioni per tutti gli altri sport.
Serve tornare a un Presidente vero del calcio, con un potere concreto, il calcio di tutti, che ha la Nazionale al vertice della piramide, i calciatori e gli interessi degli appassionati, non un burocrate anonimo che non deve pestare i piedi ad Agnelli, Singer, Zhang, De Laurentiis e così via.
O si ha il coraggio di una rivoluzione di principio, di ribaltamento dei poteri, o si commissaria pesantemente il calcio con questo obiettivo per arrivare a eleggere un presidente indipendentemente da quello che vogliono Juve, Milan, Inter, Lazio etc oppure i club penseranno sempre e unicamente a loro interessi. La Nazionale, come dicono gli esperti, non sarà mai il “core business” delle società di calcio, anzi si muoveranno sempre, più o meno alla luce del sole, in opposizione alla Nazionale.
Per farla breve. Ci vogliono le dimissioni di tutti i protagonisti di questo sprofondo azzurro, il commissariamento della Federcalcio e della Lega ma con l’intento di rifondare profondamente il calcio e di riequilibrarlo nelle strutture e nei poteri, la definizione di un nuovo governo forte della Federcalcio stessa e della Nazionale assolutamente indipendente dai club. Più calciatori, più allenatori, meno dirigenti che devono rispondere prima di tutto dei tassi di interesse dei fondi d’investimento che controllano le società.
Dopodiché possiamo pure rimetterci Mancini su quella panchina, se è vero che tutto sommato della Nazionale è la faccia migliore. Ma ci vuole il coraggio di una rivoluzione marxista-leninista, con una fondamentale riduzione dello strapotere economico e politico dei padroni del calcio.
Se poi per ripicca volessero fare la Superlega, vediamo se riusciranno a costruire un circo che stia in piedi da solo unicamente con le loro forze e le loro strutture. Non certo con gli stadi costruiti con i soldi e i contributi pubblici, e l’organizzazione del calcio inteso come tale sotto l’egida della Federcalcio.
Questo significa fare qualcosa di serio e definitivo per una crisi azzurra ma anche generale che ci trasciniamo dietro da almeno 10-12 anni.
Altrimenti la prossima partita è Juve-Inter e abbiamo tutta la maniera per scordarcela, la Nazionale.