Una cosa è certa: “Quel fallo lo rifarei, dovevo farlo, era una scelta di squadra, non mia”. Cecilia Zandalasini, la nuova Catarina Pollini, la nuova ala alta giovane che l’Europa ci invidia, somiglia tantissimo alla famosa “Cata” che caratterizzò il basket italiano, fra Vicenza a Como negli anni 80-90, per poi passare nella Wnba, a Houston. Anche nel carattere: “Tendenzialmente sono un’introversa, se posso, dico una parola di meno piuttosto che una di più”. Fiera della sua culla: “Broni, un paesino di diecimila abitanti, ma non così piccolo e con un’ottima tradizione cestistica, visto che c’è anche una squadra di A-1 che si è salvata”. Broni vuol dire caro, vecchio, utilissimo, play-ground: “Giocavo a mini-basket e poi giocavo coi maschi, coi compagni di scuola, eravamo sempre fra di noi”. E vuol, dire, primo – fondamentale – maestro, quello che non si scorda mai: “Giuseppe Zucconi mi ha impostato il tiro fra i 9 e gli 11 anni”. Tiro che, sia chiaro agli aspiranti stregoni: “Va sempre allenato, perfezionato, curato, al di là delle qualità naturali, io faccio tanto allenamento di tiro con la squadra e da sola, Ci lavoro sempre tanto, così come sul resto della tecnica”.
Il primo basket di Cecilia è troppo lontano nel tempo: “Sicuramente lo vidi alla tv, insieme a mio fratello Andrea, più anziano di 7 anni, che oggi gioca in C1 a Pavia. Ci alzavamo di notte per guardare le partite dell’Nba. La passione ce l’ha inculcata papà che giocava a livello amatoriale”. A 18 anni c’à stato il primo distacco del suo mondo: “Mi richiese il Geas Sesto San Giovanni, e dal 2014 sono Schio, per vincere, staccarmi da casa mi è costato abbastanza, ma è stata una scelta di vita, per fare qualcosa di davvero importante nella pallacanestro e avere le conferme di cui avevo bisogno”. E così, addio studi: “Ho preso la maturità scientifica, avevo voti medi, ma voglio impegnarmi al massimo in quello che faccio e, fra campionato ed Eurolega, non potrei anche studiare”. Però nutre qualche curiosità artistica: “Mi piace disegnare, con l’acquerello, soprattutto paesaggi minimalisti. E, se posso, vado volentieri a qualche mostra, il mio artista preferito è Magritte”.
L’altra soluzione per staccare la spina dal basket, è la triade di amiche intime, Veronica-Barbara-Xenia. “Soprattutto adesso che sto subendo tutta questa attenzione mediatica: non mi sconvolge, non mi spaventa per i miei 21 anni, penso che ogni cosa accada per qualche motivo nel momento giusto, e quindi a me doveva accadere adesso, e penso di essere pronta a sopportare anche questo momento che pure un po’ mi impressiona”. E la responsabilità? Neanche. “E perché? Io cerco solo di dare il massimo e per il bene della squadra”. Una con un tiro in sospensione al bacio, una che viaggia in doppia cifra in ogni partita, un terminale del gioco affidabile come lei pensa sicuramente che l’attacco alla fine prevale sulla difesa: “No, dopo questo Europeo, penso il contrario: alla fine quel che decide di più è la difesa”. Cecilia non riesce a dimenticare il suo fallo allo sprint contro la Lettonia: gli arbitri l’hanno sanzionato come antisportivo soffocando l’ultima speranza azzurra del quinto posto agli Europei che valeva la promozione ai Mondiale. “La squadra è stata grande, mi si è stretta attorno, mi ha confortata, ed aiutata, ho pianto tanto, non so per quanto ancora ci penserò, anche se il fatto che la decisione arbitrale sia stata molto dubbia mi consola un po’”. La morale è: “Ci è stato tolto qualcosa che avremmo meritato e che ci riprenderemo al prossimo Europeo, e vogliamo andare ai Mondiali”.
Cecilia Zandalasini è anche particolarmente orgogliosa del basket femminile italiano: “Come movimento, avevamo bisogno di un’occasione così per dire ”Ci siamo anche noi” e dare ancora più credibilità ai grandi miglioramenti che stiamo facendo. Come squadra, siamo state anche sfortunate: se Chicca Macchi non si fosse fatta male saremmo andate anche in medaglia. Ci è mancato forse qualcosina in più come determinazione, ma di personalità ne abbiamo espressa tanta”. Personalmente, quando sbaglio anche qualcosina mi dà molto fastidio e e faccio tanta autocritica e il cittì, Andrea Capobianco, è stato molto importante, per come mi ha sempre rasserenata”. Certo che la pallacanestro rimane bellissima, per la fierissima leonessa azzurra. “Al maschile come al femminile è lo stesso, ci mancherebbe, tiriamo sempre a un canestro e siamo cinque contro cinque. Stare in gruppo, vivere tante cose assieme, migliora anche la persona. Anche se la sensazione della sconfitta rimane molto forte”.
E adesso? “Vacanze al mare, non so ancora dove, il fidanzato non ce l’ho, andrò con le mie amiche, dopo dieci mesi, per un po’ il basket lo metto da parte, ne riparliamo al raduno di fine agosto”. Col sogno America: “Se dovesse arrivare la chiamata ci penserei su, ma ci andrei”. Nel segno dell’idolo Kobe Bryant: “Anche adesso che non gioca più”.
Vincenzo Martucci