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“Racconto Senna a chi non l’ha conosciuto” – Intervista a Giorgio John Squarcia

Da Samuele Virtuani 28/05/2024

Giorgio J. Squarcia racconta la sua ultima fatica letteraria tratta dal monologo "Io & Ayrton" interpretato da Stefano Fresi, accompagnato da una band di cinque elementi e da una cantante. "Perdere Senna" è il viaggio parallelo del pilota brasiliano e di un ragazzo italiano con una vita difficile e un destino segnato, Fiamma, in un pittoresco bar di paese. Una testimonianza per chi quei momenti non ha potuto viverli.

Sono passati trent’anni dalla scomparsa di Senna, eppure, siamo ancora qui a parlarne: possiamo dire che Ayrton si confermi anniversario dopo anniversario sempre più mito intergenerazionale? Pensiamo alla venerazione nei confronti dell’asso brasiliano nutrita da un giovane pilota come Andrea Kimi Antonelli…

La questione è più legata ad un passaparola familiare. Chi l’ha vissuto, nel caso specifico di Antonelli immagino il padre, non è che abbia bisogno di una grande proprietà linguistica per poter trasferire quello che ha fatto Ayrton Senna. Sì è vero, su YouTube vedi un sorpasso, un istante di una carriera, ma non può bastare e non potrà mai bastare per conoscere appieno la carriera di un atleta. Senna si tramanda bene da padre in figlio: essendo un pilota che ha compiuto delle imprese leggendarie, il racconto orale funziona, ancora oggi, meglio delle immagini. Io sono andato a rivedere tutte le gare disputate da Senna in carriera per scrivere il monologo, Io & Ayrton, e nel raccontarle ho visto gli elementi tipici della fiaba: l’eroe che parte debilitato, ultimo, e alla fine arriva a vincere. L’intergenerazionale è molto legato, secondo me, all’oralità. Avere la fortuna di poter ascoltare una storia di questo calibro raccontata da un genitore. Molti questa fortuna, purtroppo, non ce l’hanno e, quindi, mentre scrivevo, ho pensato soprattutto a quanti ancora non conoscono Senna. Sono sicuro che la serie di Netflix che uscirà ad ottobre darà la botta finale; chiunque questo autunno imparerà a memoria la vicenda di Ayrton.

Com’è nato il desiderio di scrivere di Senna? Solo una questione di coincidenza temporale o in questo momento della sua vita si è sentito particolarmente connesso con la parabola di Ayrton?

Tutto fa parte di una serie di coincidenze che si sono poi protratte e intensificate. Credo che un regista e uno sceneggiatore come me sia alla costante ricerca di storie, di idee nuove. Un paio di anni fa, parlando con una persona, finimmo sul discorso che il primo maggio 2024 sarebbe stato il trentennale della scomparsa di Ayrton Senna. Pur non essendo un fanatico di F1 ma avendocela in quanto emiliano nel DNA, questa conversazione mi ha fatto drizzare immediatamente le antenne, mi ha fatto scattare un segnale d’allarme. Ho cercato subito come poter raccontare Senna nell’anno del trentennale della sua scomparsa, un’occasione irripetibile dato che il prossimo grande appuntamento sarà il cinquantenario. Ho chiamato la famiglia Senna: sulle prime volevo fare un film. Parlandoci, però, ho scoperto dell’esistenza della serie Netflix in uscita ad ottobre. Per questione di diritti d’immagine, ogni discorso sarebbe stato quindi rimandato al 2026. A quel punto, mi sono trovato a dover fare qualcosa di realizzabile in tempi più brevi. Pensando a Il racconto del Vajont di Marco Paolini, monologo – evento recitato nel trentennale della tragedia accaduta nel 1963, ho deciso di seguire questa pista. Un monologo ambientato nel luogo simbolicamente più importante, l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola, e nel quale si sarebbero poi tenute le celebrazioni più solenni di questo anniversario. Sono stati sei mesi intensi. Il monologo l’ho scritto durante le vacanze di Natale, mettendomi nei panni di Fiamma, un ragazzino, che tredicenne rimane folgorato da Senna e che attraverso le sue vittorie ma, soprattutto, sconfitte impara la vita.

Senna mito totale sia nella vittoria che nella sconfitta. Un esempio di vita, una filosofia verrebbe da dire. In una società che non accetta il fallimento, gli sportivi, quelli giusti, possono dare una mano…

Assolutamente sì. Il vero motivo per cui, ad un certo punto, ho trovato in me il desiderio di scrivere questo monologo, di trasferire certe emozioni nel modo più puntuale era appunto la speranza che, semplicemente ascoltando e rivivendo quello che ha fatto Senna, le persone trovassero una ragione per non arrendersi davanti a nulla. Se si guarda a quello che ha fatto Senna, se ci si immedesima in lui, è facile comprendere come il più il grande della storia sia tale perché è stato anche il più grande sconfitto dell’albo della Formula 1. Senna ha subito sconfitte incomparabili a qualsiasi altro atleta. Michael Jordan diceva di aver vinto tutto perché ha perso tutto. Senna è Jordan per mille. Non c’è motivo per cui una persona debba o possa dire: “Mi arrendo”. La vita di Ayrton è uno specchio limpidissimo: da sconfitte in grado di mandare al manicomio chiunque, Senna era poi in grado di gettare le basi per una vittoria epica. Non c’è trucco. Leggere la sua storia in controluce è semplicissimo. Ayrton è stato forgiato molto più dalle sconfitte che dai trionfi. Se avesse vinto subito, probabilmente non sarebbe diventato quello che è stato.

Parliamo del GP di Monaco ’84, forse la più grande sconfitta di Senna. Un boccone amarissimo da ingoiare per il brasiliano che, però, in seguito ha trovato la forza per riscattarsi. Quanto è stato difficile trasmettere l’importanza capitale di questa corsa tra le pieghe del racconto?

Montecarlo è stato difficile tagliarlo nel racconto. In realtà, guardando la gara su YouTube, ho avuto la percezione di una gara talmente straordinaria che, quando si è trattato di tagliare il testo per il monologo, ogni mattoncino che toglievo era una sofferenza. Una gara epica e che riporta ai momenti più eroici del racconto della storia di quest’uomo. Come gli antichi si tramandavano le gesta di Odisseo intorno al fuoco, questa è una gara che nessuno in realtà ha visto: c’era talmente tanta pioggia, un diluvi0 di proporzioni bibliche, che le telecamere erano in buona sostanza tutte in tilt. La parte bella di questo racconto è che, per esempio, si capisce che Senna ha superato Rosberg ma non si è visto dove l’ha passato. Si incominciano, dunque, a tramandare leggende su quale manovra abbia fatto, a che altezza del circuito il brasiliano abbia avuto la meglio sul finlandese. Un’intera gara vissuta vedendo a intermittenza questo ragazzino, partito tredicesimo, inerpicarsi fino alla seconda posizione e mostrarsi minaccioso negli specchietti della McLaren – Porsche di Alain Prost nel corso del trentunesimo giro. L’oralità accresce ancora di più l’epicità di un gara della quale abbiamo chiaro solo l’inizio e il finale. Lo svolgimento può essere scritto e riscritto mille volte. Una poesia. Irripetibile in quest’era di sport ipermediatico.

È mai capitato di ritrovare un po’ di Ayrton in alcune situazioni della sua vita o in qualche persona che ha incontrato lungo il suo cammino?

Per quanto riguarda il sottoscritto, Ayrton lo ritrovo soprattutto nei momenti di introspezione. A differenza di altri sportivi, penso ai miei idoli Pantani e Tomba, con Senna c’era un filo diretto fuori dalla pista. Aveva questo sguardo, questo atteggiamento, questa filosofia di vita che per una persona che fa il mio mestiere, il lavoro di regista e sceneggiatore, è fondamentale. Ayrton era un filosofo. Le domande che si faceva sul senso della vita, il fatto che si ponesse tantissimi interrogativi esistenziali anche davanti ai cronisti negli istanti precedenti o seguenti un GP, è sicuramente l’aspetto che mi piace di più di Senna. Io non avrò mai la sua fame di vittorie, però, sono una persona che si fa un sacco di domande, come tutti. Ed è per questo che piaceva e piace ancora oggi così tanto. In altri campioni devo dire che non ho mai ritrovato questa caratura morale oltre che sportiva.

Che tipo è Fiamma? Ci sono degli archetipi ai quali si è ispirato, oppure è semplicemente un tredicenne qualunque nel quale possiamo riconoscerci tutti?

In Fiamma possiamo riconoscerci tutti perché rappresenta il lato insicuro e timoroso di cui l’adolescenza è foriera. Abbiamo un Fiamma in ognuno di noi. Fiamma, però, rispetto agli adolescenti che frequenta ha dei numeri in meno. Io ho scritto questo personaggio pensando agli ultimi; raccontavo il primo, Senna, e quindi ho ideato un suo alter ego. Il viaggio parallelo del primo e dell’ultimo. Un incontro possibile attraverso la sconfitta, elemento in grado di accomunarli entrambi. La pioggia metaforica che cade sulle vite di tutti e due. Fiamma rappresenta chi ha pensato anche solo una volta nella propria vita di arrendersi o si è effettivamente arreso ma che poi, proprio perché l’uomo impara più dagli esempi che dalle parole, rivedendo Senna in pole a Estoril vincere la gara doppiando tutti, ha cambiato la sua decisone.

Il bar di paese: una dimensione pittoresca che ha ancora valenza per le vecchie generazioni ma che per i giovani si è completamente persa…

Per chi fa il regista è necessario scegliere come ambientazione il luogo più fertile per sviluppare la storia che si ha in mente. Se dovessi raccontare questa storia al giorno d’oggi, dovrei raccontare di un ragazzino che segue la F1 sul suo cellulare, in solitudine, tra le quattro mura della sua stanza. Sarebbe, cinematograficamente parlando, la morte più assoluta. Il bar è in primis una scelta dettata da questioni di sceneggiatura. Il bar è crocevia di tutte le possibili vite che attraversano una giornata qualsiasi di un anno qualsiasi, specialmente di quegli anni là. Io l’ho vissuto quel bar. Parlo solo di aspetti che conosco molto bene. Si tratta di frammenti di vita vissuta. Un posto da cinema, da libro.

È stato facile affidarsi a Stefano Fresi?

All’inizio è stata una scommessa. Fresi aveva due caratteristiche che non si sposavano con il monologo: in primis il fatto che sia di Roma e il protagonista, Fiamma, è di Berceto, provincia di Parma; la seconda caratteristica è il suo essere noto soprattutto per ruoli comici, da commedia. Credo che, però, nessuno avrebbe potuto interpretare il monologo meglio di Fresi. Ayrton me l’ha portato, è stato un caso del destino. Fresi si è innamorato di questo monologo, l’ha fatto suo ed è stato talmente vero nell’interpretarlo che la gente è rimasta impietrita. Brividi, emozioni, lacrime. Un regalo incredibile che Stefano mi ha fatto. Ero felicissimo quando ha accettato, lo sono ora ancora di più: ha fugato ogni dubbio, cancellato ogni incognita. Sarebbe stato molto più semplice affidarsi ad un attore emiliano, che magari avesse avuto già alle spalle dei ruoli drammatici.

La prefazione è di Cesare Cremonini, uno che ha visto gli ultimi istanti di vita di Ayrton. Una scelta molto forte…

Io e Cesare ci conosciamo da quando siamo ragazzini. Una scelta motivata dalla sua presenza a Imola quel giorno e dal suo essere come me emiliano, cresciuto in campagna tra le note della musica classica e il rombo dei motori nelle orecchie. Abbiamo un retroterra culturale identico. Pur avendola raccontata un sacco di volte, Cesare, però, non aveva mai scritto questa parte del suo vissuto. E questa è stata la mia richiesta. Il monologo parte alle 13:32 di quel primo maggio ’94. Cesare ha narrato tutto quello che è accaduto prima di quell’istante. Una grande prefazione.

Crede che Senna parlasse soprattutto con gli occhi? A giudicare dalla scelta in copertina pare di sì…

Gli occhi di Senna sono particolari, raccontano molto. Una scelta dettata dalla valenza che l’occhio per un regista riveste. Dei cinque sensi, il più preponderante senza dubbio. Attraverso gli occhi di Senna si può leggere il presente e il futuro. Gli occhi restituiscono anche ciò che è alla base di questo monologo, poi tramutatosi in racconto: una vicenda narrata da una persona che è stata testimone di qualcosa di straordinario. Il punto di vista di un ragazzino senza alcuna pretesa che si specchia negli occhi di Senna.

Tags: Senna; Imola; Intervista; Giorgio Squarcia

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Nota sull’autore: Samuele Virtuani

Nato a Milano il 4 maggio 2001, è accanito calciofilo e appassionato di F1 fin dai tempi delle scuole medie. Laureato in Storia contemporanea all'Università degli studi Milano con una tesi intitolata: "Ai tempi dei dinosauri e dei pionieri. Tifo, politica e impegno sociale attraverso le fanzine dei Rangers 1976 Empoli Vecchia Guardia", da novembre 2020 è speaker presso Radio Statale, per la quale ha ideato e condotto per due stagioni "BigBang Effect". Da ottobre 2022 ha virato verso la narrazione sportiva con "Glory Frame", show radiofonico in onda tutti i mercoledì dalle 14:00 alle 15:00 sulle frequenze di Radio Statale e in podcast su Spotify.

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