“Hic manebimus optime” recita la targa commemorativa all’ingresso del complesso di capannoni che a Premenugo, frazione del comune di Settala (MI), è in grado di racchiudere cinquant’anni di passione, dedizione, arte e memoria. È questa, infatti, l’essenza dell’Alfa Blue Team, un’avventura a quattro ruote iniziata nel febbraio 1972 da cinque amici follemente rapiti dal rombo inconfondibile delle vetture del Biscione. Da quell’inverno di oltre cinquant’anni fa, ogni singolo esemplare che abbia varcato quei cancelli è stato trattato coi guanti. Gli operai degli stabilimenti Alfa, del resto, “sapevano farli anche per le mosche”, parola di Enzo Ferrari.

I premurosi custodi rispondono ai nomi di Gippo e Stefano Salvetti, due fratelli, ai quali si unirono gli amici Claudio Bonfioli, Guido delli Ponti, Emilio e Giorgio Garavaglia. Il gruppo iniziò a recuperare e riportare all’antico splendore quelle che, allora, erano considerate semplici Alfa “usate” e per questo vendute dai proprietari a prezzo di saldo. Grazie a quei cinque paladini, vetture come Giulia TZ, 2600 sprint, 1900 Sprint, 2600 SZ, 2000 Spider e Giulietta SZ trovarono cure premurose.
Oggi, auto di questo tipo ammaliano grazie alle loro curve sinuose non solo i visitatori della sede principale di Alfa Blue Team ma anche i volontari del Gruppo FAI Milano Sud-Est, i quali hanno deciso di inserire il sito di Premenugo tra i luoghi eccezionalmente aperti in occasiond delle Giornate FAI di Primavera.
Ad ogni auto corrisponde così una storia: dall’Alfa appartenuta a Merzario, all’elegante vettura

bicolore regalata da un facoltoso imprenditore del settore edilizio ad una amica della borghesia romana, fino a giungere all’Alfa “coloniale” pensata per le dune della Libia o all’auto di rappresentanza che accompagnò il Presidente della Repubblica Gronchi e l’omologo francese De Gaulle durante la celebrazione del centenario della battaglia di Solferino. In garage c’è spazio anche per un esemplare di GTA, l’auto da corsa più vincente della Storia del motorsport italiano.
Da una prima Cascina nei dintorni di Milano, gemmò negli Anni Ottanta un capannone, per arrivare ai primi anni Anni Novanta in quella che è diventata la sede definitiva, una ex “Fonderia”, lo scrigno che oggi accoglie l’esposizione di oltre 130 esemplari Alfa. Nella “Fonderia” vengono periodicamente organizzati gli “Alfacafè” incontri culturali serali a tema storico-automobilistico immersi in una suggestiva cornice: una biblioteca da più di seimila volumi e periodici tutti a tema automobilistico, di cui il 40% dedicati all’Alfa Romeo. Tutti i titoli sono disponibili per consultazione e visibili sul Sistema Bibliotecario Regionale. Parimenti incantevole il tavolo in legno attorno al quale si riuniscono i soci: si tratta di un ripiano che ricalca la forma dell’iconica mascherina che tanto ha contribuito a rendere immortale il brand del Portello.

La collezione copre in toto la vasta gamma produttiva Alfa Romeo con un focus particolare sul periodo che va dal Dopoguerra al 1986, data della cessione del marchio dalle mani dello Stato “a quelli là di Torino” (alias la Fiat), come sono soliti dire con una punta di tristezza i soci dell’Alfa Blue Team. E così si scopre che, con l’Italia in macerie, l’Alfa Romeo produsse per un certo periodo cucine a gas, venendo così in contro alle esigenza di un paese privo dei servizi più elementari. Al Portello hanno saputo anche lanciarsi nella produzioni di biciclette, oltre che proseguire nella fabbricazione di motori per l’aviazione militare e civile.
Alfa Blue Team ha esteso col tempo il suo raggio d’azione andando a strappare agli sfasciacarrozze anche grossi autocarri sia leggeri che pesanti. Una sezione notevole quella dedicata ai veicoli industriali con autocarri e autobus, tutti

manutenuti nei minimi dettagli e funzionanti grazie all’efficiente officina interna. Si parte dall’unico esemplare esistente
di chassis di un autocarro Alfa Romeo di epoca prebellica, passando per camion adibiti al trasporto di giostre, furgoni per il gelato e il sorbetto, ambulanze, un pullman a guida centrale e, addirittura, un carro funebre.
Correranno anche tempi difficili per l’industria automobilistica italiana ma una cosa è certa: Alfa Blue Team ci ricorda che il Biscione sa come rialzarsi e che la passione “alfista” è dura a morire.