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Da Jordan a Curry a Maldini: il vecchio sogno, irrealizzabile, del campione

Da Vincenzo Martucci 02/07/2017

  Dopo Air che tentò di giocare a baseball pro, il cecchino dei Warriors si cimenta fra i pro del golf e molti dicono che tenterà di sfondare anche lì accendendo la discussione: possibile che il green abbia bisogno di importare star da altre discipline? Intanto Maldini risponde col sorriso alla sconfitta nel tennis 

   Il simpatico, effervescente, brillante, irrequieto Nick Kyrgios deve farsene una ragione: finché farà il tennista professionista, dovrà mettere da parte il basket Nba che sogna da bambino. Altrimenti rischia di vivere due vite parallele, tutt’e due in un limbo. Perché la storia insegna che campioni in due sport non ce ne sono proprio più, con l’alta specializzazione di oggi, l’alta retribuzione, l’alta richiesta di tutto. Invece, campioni che realizzano un sogno in un altro sport come non gli è stato possibile quando erano soldati professionisti della prima disciplina, ce ne sono e ce ne saranno sempre. Da Michael Jordan, il mitico Air del basket Nba, che voleva farsi giocatore di baseball in nome del padre con cui condivideva quella passione, che era appena scomparso, a Stephen Curry, due volte Mvp nelle ultime tre stagioni dei Warriors, neo campioni Nba. Solo che, mentre MJ che ha lanciato la Nba negli anni 80-90, si è accontentato di

una particina di second’ordine nel suo sogno nel baseball, qualcuno azzarda che quel cecchino implacabile di Curry nel basket insegua una carriera vera e propria nel golf, trasformando “una grandissima passione” nel lavoro di domani. E, intanto, ad agosto, sfodererà il suo handicap 2.2 cimentandosi coi professionisti del Pga Usa nel Web.com Tour’s Ellie Mae Classic, ad Hayward, in California. “Spero di non mettermi in imbarazzo, ma posso fare qualunque cosa”. Scatenando mille ragionamenti da parte degli analisti dello sport Usa. Che contestano per la prima volta il concetto di invio degli sponsor, i munifici sponsor che tengono in vita lo show business.

Quello di Curry è soltanto un “progetto di vanità”, una sfida nella sfida di un primattore che si nutre di sfide e di nuovi limiti, oppure è qualcos’altro? Magari è il passaggio a eclatanti sfide fra atleti famosi che si cimentano in altri sport, per aumentare l’audience e i contratti pubblicitari della tv. Oppure è solo un’ulteriore sistema per fare altri soldi da aggiungere ai già tantissimi soldi che oggi premiamo una star dei maggiori sport professionistici Usa. Anche se Curry ha esposto una tesi molto diversa: “Sono onorato di avere l’opportunità di giocare coi pro, non solo sarò in grado di misurarmi con alcuni dei più famosi e forti di loro, ma potrò anche contribuire a promuovere lo spirito benefico del torneo e aiutare la Fondazione della Comunità dei Warriors”.

La domanda vera del golf è un’altra: possibile che il nostro sport sia così tanto carente di star da attingere ad altre discipline? Perché questa, ultimamente, è la vera problematica del green, orfano di Tiger Woods, e sempre più legato a omoni potenti e privi di carisma che stracciano i tracciati col drive, abbattendo anche lo spirito dello sport e degli appassionati. Molitorie quali possono vantarsi di essere usciti da un bunker come un campione, o di aver apportato come loro, o addirittura di aver imbucato meglio da cinque metri, ma nessuno possiede quei muscoli e quel controllo di palla col primo tiro al tee, e si sente sempre più lontano dalla vetrina.

Del resto, poi la realtà di questi tentativi è sempre difficile. Recentemente, Tony Romo, ex stella della NFL player, ha mancato le qualificazioni all’US Open, ed ex pro di vari sport come Yevgeny Kafelnikov, Jerry Rice, Ivan Lendl and Andriy Shevchenko hanno ricevuto inviti per i tornei veri sul green scoprendo che il 68 fra amici non è lo stesso nel feroce golf pro. Lo stesso vale per gli altri sport, basti vedere come l’ex star del Milan e della nazionale azzurra, Paolo Maldini, ha perso – col sorriso, la leggerezza e l’equilibrio della persona equilibrata che è -, in doppio, già al primo turno contro il muro del tennis del torneo Challenger all’Harbour Club di Milano. Calciatore è calciatore, tennista è tennista. La passione è una cosa, il professionismo, oggi, è un’altra. Anche per atleti fatti e finiti, che hanno dimestichezza con la palla e sono allenati al rapporto occhio-palla-corpo, caratteristiche importantissime, comuni al basket, al golf, al basket, al cricket, al ping pong. Ma poi cambiando le dimensioni della palla stessa, e le regole e il campo di gara, cambia tutto.

Vincenzo Martucci

Tags: Da Jordan a Curry a Maldini: il vecchio sogno, del campione, irrealizzabile, vincenzo martucci

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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