Ve lo ricordate “Deek” o Deeks” o “Tree”, perché aveva gambe magre ed era di una calma disarmante? Francois Robert de Castella, della mitica classe ’57, è stato un maratoneta australiano campione ai Mondiali di Helsinki 1983, oltre che di due Commonwealth Games, un autentico mito in Oceania, perché nessuno è riuscito ad emularlo. “Rob” ama le sfide e, nel 2010, ha accettato quella di un documentario tv: “Possiamo trovare un maratoneta aborigeno che sfidi il dominio africano sulla distanza?”. Così si è messo in marcia nell’Australia centrale alla ricerca del primo gruppo di giovani aborigeni per prepararli alla maratona di New York, fra Arnhem Land, Kimberley e il Deserto Centrale. Non era solo un esperimento sportivo, ma culturale e sociale, capace di far impallidire lui e tutta la comunità bianca che ha cancellato i primi abitanti della nazione, dimenticando i loro problemi: malattie croniche, morte prematura e problemi di salute mentale sono dilaganti.
“Ho visto la disfunzione sociale e problemi di salute. Ma la cosa che mi ha turbato di più è stata la mancanza di orgoglio, rispetto di sé e speranza”, ha riferito de Castella, a “Players Voice”, fortemente colpito dall’esperienza. “Senza orgoglio e speranza non hai nulla. E senza autostima, non farai mai uno sforzo per ottenere qualcosa nella tua vita. Non ti spingerai ad andare a scuola, a trovare lavoro o ad essere un buon genitore, perché è tutto difficile”.
Rob e il suo gruppo hanno cominciato ad allenare quattro promettenti atleti aborigeni Juan Darwin, Joseph Davies, Caleb Hart e Charlie Maher. E hanno captato che lo sport era un tramite, l’opportunità di guidare un vero cambiamento sociale, cosa molto più importante del trovare il prossimo corridore d’élite d’Australia, per cui i “FrontRunners” diventavano gli ambasciatori dell’intera comunità, un simbolo di speranza. Un esperimento talmente valido e coinvolgente da permettere a 75 ragazzi di completare il programma. Dietro l’IMP, la punta dell’iceberg, il gruppo per la maratona di New York, è nata la Fondazione della maratona degli indigeni, quindi FrontRunners, Indigenous Communities per il movimento e la nutrizione, e un programma di base chiamato Deadly Running Australia. “Sono sicuro che produrremo dei grandi atleti olimpici lungo la strada. Ma la cosa più importante – più di medaglie, gloria e fama – stiamo cambiando la loro storia”.
Poter condividere esperienze positive dà forza a tutta la comunità e mostra un’altra realtà a tutto il paese, facendo percepire la capacità di recupero degli indigeni australiani e la qualità di queste persone. “L’Australia indigena è unica e incredibilmente speciale”, proclama il mitico campione di Castilla, che è uscito fortemente provato dall’esperienza: “Mi ha insegnato cosa è veramente importante nella vita. Abbiamo la tendenza a rimanere coinvolti in così tante trappole materialistiche, perdiamo la prospettiva di ciò che conta davvero. Gli indigeni australiani apprezzano cento volte il significato della famiglia e delle relazioni rispetto alla maggioranza della comunità. Ci sono tante cose che possiamo imparare da loro”. Lo sport potrebbe aprire sviluppi di integrazione impensabili: “Spero che ci sia un futuro in cui noi, come nazione, possiamo mettere da parte la nostra idea preconcetta di cosa sia il successo e riconoscere che forse non sappiamo tutto. Forse ci sono altri modi per vedere il mondo. Il beneficio per noi sarebbe incredibilmente profondo e guadagneremmo un maggiore rispetto e ammirazione per una cultura che è stata continuamente in circolazione per decine di migliaia di anni. Può essere solo positivo per l’Australia”.
Un inno al progresso, un manifesto di corsa…
VINCENZO MARTUCCI