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Il miracolo di Piazza di Siena: qualità, esperienza e… un po’ di scuola all’estero!   

Da Sport Senators 30/05/2018

Migliorare finalmente cavalli e cavalieri, e anche l’organizzazione con l’ingresso di Coni Servizi hanno rilanciato uno sport che non faceva faville dai tempi di Mancinelli, Orlandi e dei fratelli d’Inzeo

Proviamo a rendere l’idea nel modo giusto. Nell’edizione 86 del Concorso ippico di Roma-Piazza di Siena, i cavalieri azzurri hanno vinto la Coppa delle Nazioni e concesso il bis nel Rolex Gran Premio Roma. Nel mondo dell’equitazione sono le gare regine di ogni concorso, dei Mondiali e dei Giochi Olimpici. Se vogliamo entrare nel campo dei paragoni diciamo è un po’ come se nello stesso anno, nel tennis, l’Italia dovesse vincere la coppa Davis e un azzurro si aggiudicasse Wimbledon o il Roland Garros. Se nel nuoto e nell’atletica l’Italia vincesse le staffette e poi un nostro atleta si imponesse sui 100 metri individuali.

    A far esultare il Presidente del Coni, Giovanni Malagò, sempre presente in tribuna durante le due competizioni, ci hanno pensato sul rinnovato manto in erba dell’ovale di Piazza di Siena, i quattro binomi, Luca Marziani con Tokio du Soleil, Buno Chimirri in sella a Tower Mouche, Emanuele Gaudiano su Caspar e Giulia Martinengo Marquet con Verdine, la più coccolata del team Italia guidato dal cittì Duccio Bartalucci. Nel Gran Premio Roma invece il successo è andato a Lorenzo De Luca che montava Halifax.
   L’equitazione italiana aveva vinto la Coppa delle Nazioni nel 2017, dopo 32 anni di digiuno e non riportava a casa il Gran Premio Roma dal 1994. Inoltre, non centrava la doppietta dal 1976. Allora furono quattro leggende dello sport italiano e mondiale a fare l’impresa, i fratelli Piero e Raimondo d’Inzeo, Graziano Mancinelli e Vittorio Orlandi. Dall’uscita di scena dei fratelloni d’Italia, l’equitazione italiana è entrata in una crisi organizzativa e di risultati spaventosa. Risale al 2004 all’Olimpiade di Atene l’ultima partecipazione della squadra (settimo posto) e nel 2016 l’approdo a Rio nella gara individuale di Emanuele Gaudiano della quale si fa fatica a cercare uno spunto positivo. Insomma, fu un disastro.
   Come sempre accade, non c‘è mai un solo motivo per spiegare una crisi sportiva ma tanti piccoli e grandi mattoni che hanno alzato un muro invalicabile. La difficoltà a reperire cavalli di levatura internazionale ha senza dubbio aperto una profonda ferita. Non che di cavalli buoni in giro per il mondo non ce ne fossero, ma i prezzi di acquisto erano diventati per l’Italia proibitivi. Per competere con le grandi potenze internazionali, Usa, Francia, Germania, Gran Bretagna servivano delle Ferrari o delle Marcedes e invece si potevano comprare solo delle utilitarie buone per vincere un campionato italiano o finire senza troppi disastri concorsi di contorno. Poi approdavi a Piazza di Siena, o nei maggiori concorsi al mondo come Asquisgrana, Lisbona, Le Baule, Madrid o in Inghilterra e un violento ceffone ti riportava alla triste realtà. Impietosa.
    La crisi di cavalli richiamava direttamente a un’altra crisi, quella dei cavalieri. La scuola italiana è stata sempre nell’èlite, ma anche per quanto riguarda il fattore umano è necessario chiarire un concetto. Cavalieri italiani di livello ce n’erano, in particolare quelli, e sono ancora oggi la maggioranza, che prestano servizio nei corpi militari ma, senza buoni cavalli e una crisi economica devastante che ha investito tutto il pianeta, l’Italia più di altri (ancora oggi è così causa un debito pubblico, il secondo più alto al mondo), fare esperienza internazionale, confrontarsi con scuole all’avanguardia, per i nostri diventava un sogno irrealizzabile. Pochi o quasi niente concorsi all’estero, insufficienti stage di confronto e studio per i tecnici, professionalità al minimo dovuta allo scarso interesse della collettività e l’Italia non ci ha messo molto a uscire da quel circuito internazionale nel quale sedeva sempre nel tavolo dei Grandi. Vi dicono niente il ruolo di Francia e Germania e fino a poco tempo fa di Gran Bretagna nelle stanze della UE e il ruolo dell’Italia? Paragone forse azzardato ma efficace a capire quale era il nostro peso.
   Nel 2017 La Federazione si è data una nuova organizzazione. La base ha eletto come presidente un imprenditore romano, Marco Di Paola che come prima mossa ha chiesto sostegno al presidente del Coni Malagò e ha streeto una partnerships con Coni Servizi. Il primo appuntamento dove si potevano misurare i risultati di questa collaborazione (fissata in otto anni) è stato il Csio di Piazza di Siena. E si è avvertito subito il livello di alta professionalità nella preparazione dell’evento, nei rapporti, non facili, con l’Amministrazione locale, nel presentare una location finalmente attrattiva per il pubblico. “Non abbiamo scoperto nulla – dice ora l’event directon di Piazza di Siena e direttore di Coni Servizi, Diego Nepi – perché Villa Borghese è fantastica di per sè e Piazza di Siena, al centro della Villa ne è un suo prezioso gioiello incastonato. Noi e la Federazione, in questi due anni abbiamo solo riportato, con una grosso lavoro di ristrutturazione e pulizia la “chiesa al centro del Villaggio” come diceva un famoso allenatore di calcio (frase di Rudi Garcia, ex tecnico della Roma ndr). Nel 2017 siano partiti con soli tre mesi di tempo per consegnare ai romani un concorso spettacolare e quest’anno abbiamo fatto ancora di più ripristinando l’erba a Piazza di Siena, bonificando l’area del Galoppatoio, abbandonata in uno stato di vergognoso degrado, dove abbiamo realizzato un secondo campo gara e un secondo Villaggio commerciale oltre a quello storico nella Piazza”.
   Per me – aggiunge il presidente Fise Marco Di Paola – la partnership con il Coni ha portato solo benefici. Le loro conoscenze organizzative sono l’eccellenza nel campo. Le federazioni devono comprendere il plusvalore che arriva da una stretta collaborazione con il Comitato olimpico. Mi piace pensare che il Coni sta alle Federazioni come la Confindustria sta alle imprese. A noi della Federazione d’altronde spetta il compito di allargare la base, offrire servizi attrattivi e, ovviamente, vincere medaglie”.
   Un altro fortissimo segnale di come il vento stava cambiando è arrivato dai cavalieri. Si stava tornando lentamente ma con continuità a gareggiare di più all’estero, accrescendo quindi esperienza e autostima, ma la svolta ha un punto di partenza: il 2014. Alcuni dei migliori cavalieri hanno abbandonato la loro terra, le scuderie, le scuole, dove erano cresciuti sin da ragazzini per approdare nelle grandi scuderie estere di proprietà di ricchissimi uomini di affari. Proprietari terrieri con una infinità di cavalli acquistati nei migliori e più esclusivi allevamenti dei cinque continenti a suon di milioni in dollari o euro. Centinaia di dipendenti, veterinari, groom, scuderie dove ognuno sa quel che deve fare e quello che non deve.
   In una di queste scuderie, in Belgio, da Stephan Cotter, si è trasferito il leccese Lorenzo De Luca. “Quando misi piede per la prima volta in scuderia mi sembrò di entrare in un parco giochi. Mai vista una cosa di questo genere per i cavalli. Non ci ho messo molto a capire che tutto era organizzato, senza lasciare nulla al caso. Ogni giorno, sette su sette, chiunque lavori lì sa bene quel che deve fare dall’alba al tramonto e, ovviamente, anche i cavalieri hanno una scaletta da rispettare e un lavoro da portare avanti con professionalità. Avere una vasta disponibilità di cavalli ti permette di montarne tanti uno diverso dall’altro per caratteristiche tecniche e caratteriali. E questo in gara è un aspetto decisivo perché bisogna conoscere bene il tuo cavallo, capirne le esigenze e il carattere in quei precisi tre minuti che dura una manche. E’ sotto gli occhi di tutti che il salto di qualità della nostra equitazione sta in queste scelte di vita e chi ancora non le ha fatte ha però davanti tante occasioni di confronto potendo gareggiare spessissimo fuori dall’Italia”.
Erminio Marcucci
Tags: Equitazione, piazza di siena 2018, successo pubblico

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Nota sull’autore: Sport Senators

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