L’impresa di Valeria Straneo ai Mondiali di atletica leggera 2013 è ancora ben impressa nella mente degli appassionati di sport e non solo: conquistare una medaglia d’argento in una specialità dominata da africani. Un risultato che ebbe ancor più peso considerato il periodo che stava trascorrendo l’atletica italiana, a caccia di nuovi talenti, e che forse ha posto le basi proprio a quello straordinario movimento protagonista nella rassegna iridata a Tokyo.
A distanza di tredici anni Valerio non gareggia più, ma continua a correre e proprio per questo impegno verrà premiata in occasione dell’Epica dell’Acqua, una corsa a tappe lungo il Delta del Po dove la natura si mischia allo sport, dove il coraggio di un’atleta come Valeria Straneo diventa il modo migliore per offrire nuovo slancio a un movimento.
Perché ha deciso di prendere parte a una delle tappe dell’Etica dell’Acqua?
Mi hanno contattato chiedendomi se volessi partecipare a questa manifestazione che sinceramente non conoscevo. Mi sono così informata e mi è subito piaciuta tantissimo perché è una corsa in natura, che rispecchia il mio spirito. Hanno deciso inoltre di assegnarmi questo premio dell’Epica che sono grata e onorata di ricevere visto che prima di me lo hanno ottenuto Marco Olmo e Giorgio Calcaterra, due persone che stimo moltissimo.
Cosa fa oggi Valeria Straneo dopo essersi ritirata dall’atletica leggera?
Sono tornata alle origini, quindi corro per passione. Adesso insegno in una scuola media come professoressa di sostegno e devo dire che è un lavoro che mi piace moltissimo, che mi dà parecchie soddisfazioni, anche se continuo a rimanere nel mondo della corsa e vorrei farlo per sempre, anche se non mi alleno più come una volta. Tuttavia spesso vado a correre e lo faccio in mezzo alla natura, abitando in collina. Insomma, mi alleno in un modo diverso perché non ho più voglia di fare ritmi ripetuti, la corsa deve essere rivolta al benessere fisico che è sempre stato il mio obiettivo.
Qualcuno dei suoi alunni non ha mai voluto seguire le sue orme?
Sono stata in moltissime scuole, anche come ospite, non solo come insegnante, e ho sempre incontrato una grande curiosità, anche perché tutti vorrebbero andare un giorno alle Olimpiadi. Molti mi chiedono quale sia il segreto per riuscirci e la risposta è sempre: tanto impegno quotidiano, passione e anche una bella dose di fortuna.
Si sarebbe mai aspettata di sbocciare a trentacinque anni e ottenere questi risultati?
Sinceramente no, non pensavo proprio di intraprendere una carriera da atleta professionista perché ho sempre visto lo sport come un hobby. Un lavoro vero e proprio lo è diventato nel 2010 quando ho dovuto subire l’asportazione di milza e colecisti a causa di una sferocitosi, una disfunzione congenita dei globuli rossi che mi aveva creato parecchie difficoltà. Una volta completata l’operazione, sono sbocciata come atleta di livello, anche se non mi sarei mai aspettata di partecipare a due Olimpiadi, arrivare seconda a un Mondiale e a un Europeo oltre a vincere una serie di titoli italiani.
Ci racconta quell’esperienza al Mondiale?
Ero andata principalmente per fare esperienza, mai avrei pensato di salire sul podio così come non l’avrebbero immaginato i tecnici. Quella fu l’unica medaglia della spedizione azzurra e, guardando quanti passi abbiamo fatto, si possono notare dai numerosi podi ottenuti nell’attuale rassegna. Nonostante fossi arrivata seconda, ero felicissima, perché non pensavo di poter andare oltre. All’epoca le africane erano inarrivabili, tuttavia, nonostante il caldo così feroce che bruciò la pelle degli atleti, riuscii a resistere perché ero abituata ad allenarmi nella calura della Pianura Padana. Non ho pensato a fare molti tatticismi, ho pensato alla mia gara e a circa 7-8 chilometri dall’arrivo mi sono girata indietro e ho visto che alle spalle c’era soltanto la keniana Edna Kiplagat. Non ci potevo credere che fossimo rimaste al comando soltanto io e lei, tuttavia lì ho capito che avrei potuto prendere la medaglia. Alla fine ho cercato di dare il massimo, tuttavia lei è stata più forte e sono giunta sul traguardo con una manciata di secondi di ritardo. Non c’è stata alcuna amarezza, ero solo felicissima di aver corso al suo fianco, a lei che aveva vinto il Mondiale anche due anni prima e aveva un tempo decisamente più basso del mio nella maratona oltre ad aver conquistato numerose gare in carriera.
Dopo aver preso parte a due Olimpiadi, le è spiaciuto non esser andata a Tokyo?
Ho cercato di agguantare il minimo fino all’ultimo, affrontando tutte le gare che potessi fare, chiaramente nel limite che la maratona ti impone. Purtroppo quel traguardo non è arrivato per un minuto e un po’ mi è spiaciuto perché mi sarebbe sempre piaciuto andare in Giappone. Il Covid ha messo il bastone fra le ruote a tutti noi e questo mi ha impedito di esserci.
Come ha vissuto il momento in cui Sofiia Yaremchuk le ha strappato il record italiano?
Mi sono stupita che non l’avessero battuto prima perché, oggi come oggi, il mio 2h23’44” è un tempo abbastanza alto, piuttosto facile da raggiungere complice anche le scarpe dotate di piastre di carbonio. Sono contenta per Sofiia perché è una ragazza che conosco, è molto carina e spero abbia altre occasioni per togliersi delle soddisfazioni.
Cosa dobbiamo aspettarci dalla maratona femminile?
Quest’anno Sofiia ha deciso di non partecipare ai Mondiali, ma sicuramente avrà altre occasioni per brillare. E’ giovane, ha voglia di lavorare e mettersi in gioco quindi sono convinta che possa ottenere ottimi risultati. Speriamo che anche Giovanna Epis possa recuperare visto che un infortunio le ha fatto saltare l’impegno iridato.
In futuro potremmo vedere Nadia Battocletti nella maratona?
Potrebbe darsi, nel caso sarebbe bellissimo perché ci darebbe senza dubbio tantissime soddisfazioni. Con il motore che possiede e i geni provenienti dai genitori, penso che potrebbe fare molto bene. Per questo non vedo l’ora di vederla in veste di maratoneta.
