Tutti dicono Jannik (Sinner), e Matteo (Berrettini). E anche Lorenzo (Musetti) e Fabio (Fognini). Tutti, oggi, in Italia e nel mondo, applaudono i quattro Moschettieri del tennis azzurro: il 19enne più giovane, precoce, maturo e promettente di sempre delle racchette di casa, il potente 24enne che ripropone un azzurro protagonista negli Slam e alle ATP Finals coi primi 8 del mondo di fine stagione, il 18enne dal rovescio che incanta col tocco dell’artista e il 33enne che ha rilanciato la carriera in extremis aggiudicandosi il primo Masters 1000 a Montecarlo 2019 e sfatando il tabù “primi 10”.
Queste, insieme a quella del 25enne mister-serietà, Lorenzo Sonego, sono le facce del Rinascimento del tennis
italiano, ma i segreti della svolta sono tanti di più. E, per una volta, trattandosi di Italia, non sono episodici
e casuali. Importantissimo è stato l’esempio professionale e umano delle formidabili Francesca Schiavone, Flavia
Pennetta, Sara Errani e Roberta, coi quattro titoli di Fed Cup conquistati in sette anni. Una squadra che, anche
grazie alla sana rivalità interna, ha portato i primi, sensazionali, risultati d’altissimo livello della storia del tennis italiano donne: due titoli Slam di singolare (Schiavone al Roland Garros 2010) e Pennetta agli Us Open 2015, più tre finali (Errani al Roland Garros 2012 e Vinci a New York 2015), con quattro promozioni fra le “top 10”, e 5 trionfi Majors della coppia Errani-Vinci, numero 1 del mondo di specialità.
Fulminante è stato l’acuto di Marco Cecchinato: con l’imprevedibile semifinale al Roland Garros 2018, culminata nel successo su Novak Djokovic, ha scosso i connazionali più forti – primo fra tutti Fabio Fognini – che non potevano accettare un simile sorpasso nelle gerarchie nazionali e mondiali, e ha dato la carica a quanti lo avevano incrociato e battuto sui campi minori, soprattutto i coetanei dell’età di mezzo. Che, nel segno di: “Se c’è riuscito lui, perché non posso farcela anch’io?”, hanno riproposto la sfida con se stessi, lanciando quella che l’ottimo coach Massimo Sartori (già guida di Andreas Seppi e scopritore di Jannik Sinner) ha definito: “La Generazione Cecchinato”.
Decisivo è stato l’apporto della Federazione Italiana Tennis che, grazie ai responsabili tecnici della struttura centrale, l’ex numero 25 del mondo, Filippo Volandri e l’ex tecnico di scuola Bollettieri, Umberto Rianna, ha finalmente cementato i rapporti fra pubblico e privato, sostenendo con finanziamenti e supporti logistici l’attività di tutti i giocatori professionisti, creando un validissimo circuito nazionali di tornei ITF e Challenger, che fosse palestra per i più giovani, fonte economica per l’attività ATP Tour dei meno giovani e per gli ex professionisti, liberandoli dalle lezioni al
tennis club, e trasformandoli in coach itineranti, come gli omologhi della vicina Spagna. Non solo, dal 10 novembre 2008, la FIT tramite Sportcast, gestisce SuperTennis, l’unica rete tv sportiva italiana monotematica, indispensabile strumento di promozione nazionale, gratuito, che la disciplina aveva perso col passaggio dalla rete pubblica, RAI, alla privata, Sky.
Tutto questo immane sforzo ha prodotto un rilancio ad altissimo livello del movimento, producendo, finalmente,
grandi risultati. Dall’anno d’oro di Adriano Panatta che, nel 1976, firmò Roma, Roland Garros e la coppa Davis, in
tandem con Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, l’Italia non era più stata protagonista
all’apice del tennis. Peggio: aveva disperso il bum economico delle racchette e quello culturale della
popolarizzazione da sport d’èlite. Così, era dovuta ripartire, impiegando tanto più tempo di altre nazioni
per allinearsi ai canoni dello sport moderno, legato principalmente a testa e fisico, prima che alla tecnica
come avveniva in passato.
La cavalcata azzurra è stata improvvisa e travolgente. Nel 2018, alla semifinale del Roland Garros di Cecchinato a giugno, hanno fatto eco il primo titolo ATP, a Gstaad, di Berrettini a luglio, le tre finali di Fognini in estate (successo a Bastaad e Los Cabos, sconfitta a Chengdu) ed i primi acuti sul Tour principale anche di Sonego. Nel 2019, l’inseguimento fra i tenori
azzurri s’è fatto ancor più serrato, aumentando d’intensità e di importanza ed annettendo ai quattro
Moschettieri anche D’Artagnan, cioé baby Sinner. A marzo, Berrettini ha vinto il Challenger di Phoenix, scatenando
la reazione di Fognini che, a Montecarlo, s’è esaltato sull’amata terra rossa piegando ancora una volta, di classe, Rafa Nadal e riportando un italiano nell’albo d’oro del Principato dal terzo titolo di Nicola Pietrangeli nel 1968. Con in scia Sonego, che, partendo dalle qualificazioni, è arrivato ai quarti e, a giugno, si è preso la soddisfazione di conquistare il primo titolo ATP sull’erba di Antalya. Mentre Berrettini, dopo tanto lavoro tecnico-tattico e psicologico col maestro di
sempre, Vincenzo Santopadre, si è letteralmente scatenato: sulla terra, ha firmato Budapest e ha ceduto solo in finale a Monaco, sull’erba, ha vinto il torneo di Stoccarda e, sul cemento degli Us Open, ha riportato un italiano nei quarti nello Slam storicamente più ostico per gli azzurri, 42 anni dopo Corrado Barazzutti (all’epoca capitano di coppa Davis), per arrendersi in semifinale contro super-Nadal. Di più, grazie alle semifinali di Shanghai e poi di Vienna, il 4 novembre, il
potente romano dal grande uno-due servizio-dritto ha toccato la classifica-record di 8 del mondo, riportando
un azzurro alle ATP Finals di fine stagione, terzo italiano della storia dopo Adriano Panatta (1975) e Corrado Barazzutti (1978), primo ad aggiudicarsi almeno una partita (contro Dominic Thiem) nel Super8, primo a firmare tre tornei ad appena 23 anni, quarto migliore di sempre nella classifica mondiale dopo Pietrangeli (numero 3), Panatta (4) e Barazzutti (7).
Questo eclatante successo di gruppo ha portato il 6 ottobre l’Italia a schierare 8 giocatori fra i primi 100 del mondo, con l’inserimento nel clan di Travaglia, Caruso, Seppi e Fabbiano. Nel computo, spiccano grandi individualità dai contorni ancora non delineati che promettono risultati strabilianti. Senza limiti precisi. Perché, per la prima volta nel tennis italiano, si punta decisamente all’eccellenza: l’obiettivo non è più aggiudicarsi un torneo Atp Tour, raggiungere almeno la
seconda settimana degli Slam o entrare nei “top ten”, si guarda più in sù, ancora di più. La stella cometa è Jannik Sinner, il giocatore moderno, “alla Djokovic”, forte di testa e di fisico, che, nello sbancare le NextGen Finals da appena 18enne umilia in finale un giocatore tanto più solido come Alex De Minaur, scatena i paragoni coi più grandi di oggi e i complimenti dei più grandi di ieri, accompagnandosi da subito con un’azzardata ma non impensabile scommessa: “La mia ambizione è il massimo, e quindi diventare numero 1 del mondo. Anche se so che devo ancora crescere tanto, in
tutto, sono disposto a lavorare duro, ogni giorno, per riuscirci”. L’altoatesino allevato alla Piatti Academy di
Bordighera (Liguria), brucia le tappe: a gennaio 2019 gioca i tornei Satellite, a ottobre è 46 ATP, l’anno dopo
è il primo del 2021 nei quarti Slam, battuto al Roland Garros solo da Rafa Nadal, dopo aver inchiodato Zverev.
Sorpresa: anche il tennis maschile si è allineato alle concezioni più avanzate di estrema e approfondita
ricerca tecnica, atletica, tattica, psicologica, scientifica dello sport mondiale. Quella che ha supportato gli straordinari risultati degli atleti azzurri in generale nelle massime competizioni mondiali, offrendo sempre più un’immagine vincente del “Made in Italy”, non più nel segno dell’estemporanea improvvisazione del genio ma di una continuità di
programmi e di una autentica filosofia di lavoro. Grazie alla Federazione tennis che, con la sua organizzazione
centrale, ha fornito un enorme contributo di know-how, supportando, modernizzando e monitorando la formazione
dei maestri, coordinando l’indispensabile salto di qualità della categoria (prima legata soprattutto alla
pratica sul campo, da ex giocatori) e collegando stabilmente il Centro tecnico nazionale maschile di
Tirrenia (Firenze) con le realtà locali.
Dall’alba del 2000, quando Angelo Binaghi è diventato presidente della Federazione, la dirigenza ha risolto le
pesanti pendenze economiche con le passate gestioni, e ha sposato l’accordo con CONI Servizi (dal 2019, Sport e
Salute), la società per azioni, pubblica, che supporta le attività del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, snellendo tutte le attività, a cominciare dalla ristrutturazione dell’area del Foro Italico di Roma dove si svolgono gli Internazionali BNL d’Italia. Così, in un circolo sempre più virtuoso, il massimo torneo di tennis nazionale, nato nel 1930, è diventato la prima fonte di approvvigionamento del movimento fino ad arrivare ai 13 milioni di euro di incasso del 2019. Che significa
autosufficienza economica, autonomia imprenditoriale della FIT e quindi stimoli a cercare nuovi sbocchi all’attività agonistica di alto livello. Da cui nel 2017, la sfida ad organizzare a Milano le NextGen Finals, la passerella coi migliori 8 under 21 mondiali della stagione volta dall’ATP per accompagnare al meglio il trapasso delle super star Federer, Nadal e Djokovic. Gli ottimi risultati anche organizzativi della prova hanno garantito alla Federazione un’apertura di credito con
l’organizzazione che gestisce i tornei maschili, spalancando una finestra mondiale diversa e superiore di quella del torneo di Roma. Tanto da trasformarsi nella nuova e più importante scommessa: ospitare dal 2021 per almeno cinque anni le ATP Finals coi migliori 8 del circuito maggiore, col trasloco dalla O2 Arena di Londra a Pala Alpitour di Torino, con una mega esposizione finanziaria di 18 milioni di euro e la prospettiva di un fatturato da raddoppiare, da 32 a 60 milioni.
Del resto, chi avrebbe immaginato che al vertice dell’ATP, salisse una coppia italiana, con Chairman l’ex numero 18 del mondo, Andrea Gaudenzi, e CEO il manager Massimo Calvelli? Chi avrebbe sognato che l’Italia si smarcasse dall’impossibile paragone con le grandi realtà europee, Francia e Spagna, capaci, dopo la Svezia dei maggiori risultati agonistici maschili? Chi avrebbe ipotizzato che, subito dopo i nuovi Moschettieri – espressione di tutte le età e di tutte le regioni – ci fosse anche un nugolo di giovani così promettenti, dal già affermato 18enne Musetti ai coetanei Giulio Zeppieri e Matteo Gigante, al 17enne Luca Nardi? Chi avrebbe azzardato che Palermo ospitasse il primo torneo WTA post
pandemia, che nascessero i Challenger micro-area, che ci fosse la forza e il coraggio di disputare comunque Roma?
Benvenuti nel Rinascimento del tennis italiano.