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L’ipocrisia a cinque cerchi degli atleti speciali della Nord Corea…

Da Sport Senators 08/02/2018

Gli sportivi di punta del sistema di Kim Jong Un sono tutt’altro che gli ambasciatori di pace descritti dalla propaganda. Appartengono a famiglie della “nomenclatura” statale, sono figli di militari, di burocrati del “Partito dei lavoratori” e di persone vicine al potere. E raccontano una realtà distorta!

Lo spirito olimpico che vince, i popoli che si incontrano, lo sport che accende la speranza. Tutto bello, ma i Giochi invernali di Pyeongchang rischiano di essere i più ipocriti di sempre. Perché danno una sensazione distorta dell’impatto che lo sport ha sui rapporti fra Nord e Sud Corea, perché creano un’immagine falsa degli atleti nordcoreani come ambasciatori di pace. Intendiamoci, non è che loro debbano essere considerati “cattivi” travestiti da buoni per chissà quale piano malefico ideato da Kim Jong Un, sono semplicemente persone più fortunate rispetto ai nordcoreani che subiscono un regime in cui i diritti umani non esistono. Ed è anche vero che i rapporti umani fra gli atleti del Nord e del Sud, in qualsiasi sport, sono più che buoni, basterebbe andare a vedere come si comportano amichevolmente in occasione di manifestazioni come Mondiali e Campionati Asiatici. Ma il punto è che non si può attribuire loro la funzione di messaggeri che riportano in patria lo spirito dell’Olimpiade, che raccontano quant’è bello stare insieme ai sudcoreani, magari nella stessa squadra, come succederà nell’hockey su ghiaccio femminile. Non lo si può fare per il motivo più banale e scontato: volontariamente o no, rappresentano il regime perché ne fanno parte, perché tutti gli atleti nordcoreani che vanno all’estero appartengono a famiglie della “nomenclatura” statale, figli di militari, di burocrati del “Partito dei lavoratori” e di persone inserite nel sistema di potere.
   La vita in Nord Corea, oltre ai conosciuti sistemi di repressione, è sempre stata caratterizzata dalla propaganda con cui il regime ha imposto alla popolazione l’ignoranza assoluta di quanto avviene fuori del suo Paese. Vietato vedere e ascoltare trasmissioni video e radio estere, pena la deportazione nei campi di concentramento, vietato qualsiasi contatto con stranieri, vietato uscire dalla Nord Corea. Così, è stato facile per il regime convincere la popolazione che il resto del mondo è un inferno in cui si muore di fame e che la Nord Corea è quindi migliore di qualsiasi altro posto. E’ anche vero che negli ultimi anni, poco alla volta, questo muro è stato parzialmente abbattuto grazie a qualche infiltrato, grazie a gente che è riuscita a scappare ed è riuscita a comunicare la vera situazione al di fuori di questa prigione-Stato o che è stata costretta a tornare. Ma la gran massa dei nordcoreani è ancora convinta che al di là del confine ci sia un mondo invivibile.
    Proviamo quindi a immaginare se a una manifestazione sportiva all’estero andasse un atleta che viene da una famiglia normale, non inserita nel sistema di potere. Una volta tornato a casa, potrebbe raccontare che il mondo “esterno” è completamente diverso da come lo descrivono i capi politici, che è bello, che si mangia a sazietà. Sarebbe la crepa che porterebbe al crollo del grande bluff. Quindi, può partecipare alle gare internazionali solo chi garantisce che, una volta tornato, non racconterà cosa c’è veramente oltre il confine. E questi sono i “figli del potere”. Fra l’altro, tanto per andare ancora di più sul concreto, qualcuno può spiegare come potrebbe fare un ragazzo di una famiglia normale, che soffre la fame, a diventare un campione dello sport? Non bisogna essere una grande spia per intuire tutto questo, ma pare che si vogliano chiudere un po’ gli occhi per illudersi che ci sia qualche segnale di distensione o, più prosaicamente, che si preferisca una bella storia alla realtà.
Gennaro Bozza
Tags: gennaro bozza, L’ipocrisia a cinque cerchi degli atleti speciali della Nord Corea…

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