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Sport

Valieva, le contraddizioni di Tas e Wada arrivano al pettine

Da Gennaro Bozza 11/03/2024

I due organismi sostengono tesi opposte e dimostrano una volta di più che la squalifica della russa, persona protetta, è illegittima. I tentativi di umiliarla con un elenco di ulteriori 55 sostanze nelle analisi, ma nessuna di queste è doping

A una settimana dai Mondiali di Montreal, il mondo del pattinaggio artistico su ghiaccio continua a mostrare il peggior aspetto di sé, fra competizioni svilite tecnicamente e sportivamente dalle forzate assenze dei russi, ipocrisia a piene mani con i tecnici russi che partecipano senza problemi alle gare e atleti russi sotto altra bandiera che continuano a mostrare la loro superiorità e, soprattutto, dichiarazioni di alti rappresentanti dell’antidoping e della giustizia sportiva che insistono a gettare veleno su una sola atleta, Kamila Valieva, oggetto di facile vendetta contro la persona più debole in questo mondo, e a dire bugie clamorose che sono facilmente smascherate tanto sono risibili.
Di passaggio, si possono citare i punteggi delle gare che dimostrano come il livello tecnico si sia abbassato, o anche le vittorie di giovani atleti russi ai Mondiali junior di fine febbraio a Taipei: oro nelle Coppie a Anastasiia Metelkina (nata a Vladimir) e Luka Berulava (nato a Mosca) sotto la bandiera della Georgia, oro nella Danza ad Artem Markelov (nato a Volzhski) sotto la bandiera degli Usa insieme alla statunitense Leah Neset. Insomma, in due gare su quattro, sono gli atleti russi a vincere, senza citare tutti gli altri in gara ai Mondiali junior nati in Russia ma rappresentanti nazioni diverse.
Ma l’aspetto più importante, ancora una volta, riguarda il caso doping di Kamila Valieva. Già avevamo visto, in precedenti articoli, come la sua squalifica sia viziata da evidenti e grossolani errori nell’interpretazione delle regole, come si può notare in quest’ultimo: https://www.sportsenators.it/31/01/2024/valieva-vittima-designata-di-una-sporca-guerra/
In breve, giusto per ricordare l’assurdità della sentenza del Tribunale arbitrale dello sport, Valieva non poteva essere squalificata in quanto persona protetta, atleta sotto i 16 anni, al momento dell’accertamento. Il Tas aveva respinto questa tesi con una incredibile motivazione: non si può applicare questo principio legale perché la Rusada, l’agenzia russa antidoping, non prevede la distinzione fra persone adulte e persone protette. Nell’articolo del link, si fa notare che non è vero.
Il regolamento Rusada, nella sezione Annex che esplicita il senso delle disposizioni in materia di doping, riporta testualmente che “i fattori da prendere in considerazione nella valutazione del grado di colpa di un Atleta o di un’altra Persona includono, ad esempio, se l’Atleta o altra Persona è una Persona Protetta”. Il Tas, però, non ne ha tenuto conto e ha squalificato Valieva per 4 anni.
Ma tutto questo, evidentemente, non basta alle autorità sportive, bisogna aggravare ulteriormente la posizione della Valieva per dimostrare al mondo che è stato giusto squalificarla. E questa insistenza, alla fine, rivela soltanto il tentativo di giustificare se stessi.
La prima “giustificazione” viene tirata fuori dalla stessa sentenza del Tas. Sui mezzi di informazione viene presentata come un “documento reso pubblico”, in cui si parla dei farmaci somministrati a Valieva. La lista è di 55 sostanze (sui giornali si è parlato erroneamente di 60 sostanze, ma è evidente che il discorso sostanziale non cambia). In realtà, il documento non è stato “reso pubblico”, come se ciò fosse avvenuto autonomamente da parte di una organizzazione, di una società investigativa, di una federazione o di chissà chi, ma è semplicemente contenuto nella sentenza del Tas (punto 49, pagina 20), che è pubblica e a disposizione di tutti. Chi si è occupato della vicenda se n’è accorto qualche giorno dopo. Questo documento non è la “scoperta” di una agenzia investigativa o che altro, ma una comunicazione interna russa tra la FMBA (Istituto Nazionale Russo per la Sanità Pubblica) e la RUSADA (Agenzia Antidoping della Russia), che, per le regole dei giudizi davanti al Tribunale arbitrale dello sport, deve essere obbligatoriamente inserita nelle carte del processo. Quindi, sono gli stessi russi, non organismi internazionali, a far presente l’anomalia per vedere se la salute dell’atleta è a rischio e se ci sono gli estremi per una iniziativa disciplinare. Non si può, perciò, sostenere che la Russia ha provato a nascondere tutto, a parte il fatto che il prelievo antidoping sulla Valieva era nazionale, in una gara nazionale, effettuato dalla Rusada. E i ritardi nella comunicazione della positività, bisogna ricordarlo ancora una volta, non sono per responsabilità dei russi, ma del laboratorio di Stoccolma che ha effettuato le analisi.
Ma andiamo al punto più importante: le sostanze di questa lista. NESSUNA di queste sostanze è inserita nell’elenco di quelle considerate ufficialmente doping. La grande maggioranza è contenuta in integratori, vitamine, antidolorifici e nutrizione sportiva in generale. Valieva è stata squalificata per la presenza di trimetazidina, che non c’è nella lista delle 55 sostanze citate nella comunicazione interna fra Fmba e Rusada. Delle 55 sostanze, ce ne sono solo due, l’ipossene e la carnitina, che possono essere coadiuvanti della trimetazidina, ma da sole o anche prese entrambe non costituiscono doping. Allora, che senso ha “sparare” la grande rivelazione delle 55 sostanze, citando solo di straforo che non sono doping ma aggiungendo che sono “ai limiti”? Moltissime di queste, se non tutte, possono essere trovate nelle analisi di un qualunque atleta se si andasse a fare un esame accurato e questo non porterebbe ad accusare l’atleta di essere dopato, perché non lo è. Ovviamente, che se ne trovino così tante in una ragazza di 15 anni, qual era la Valieva al momento del controllo, non è una cosa normale, ma questo porta ad altre considerazioni.
Innanzitutto, dal punto di vista del sospetto, si potrebbe ipotizzare che il ricorso a tutte queste sostanze presupponga il tentativo di “sperimentare” un rafforzamento dell’atleta senza arrivare al doping, tipo: vediamo cosa succede mettendo insieme questa e quella sostanza, forse riusciamo a potenziare il fisico senza incorrere nella violazione delle regole del doping. Ma si resta sempre nello “sfruttamento” dell’atleta fino al limite delle sue capacità fisiche e fisiologiche, non nel doping. Moralmente inaccettabile, ma non è doping. Il fatto che organismi mondiali antidoping, tribunali e mezzi di informazione percorrano questa strada indica solo la volontà di infierire sulla Valieva come capro espiatorio: vedete quanto è cattiva? vedete quante sostanze prende, e anche se non sono doping che differenza fa? vedete che è giusto punirla?
E poi, l’aspetto più importante. Ma come fa una ragazza di 15 anni a decidere di prendere queste 55 sostanze, non dopanti, oltre alla trimetazidina, dopante? E’ così chiaro che l’alimentazione, gli integratori, i medicinali siano tutte imposizioni di chi allena l’atleta di 15 anni. A maggior ragione viene fuori il principio della “persona protetta”, che non è stato applicato alla Valieva. Una persona sotto i 16 anni non può essere ritenuta responsabile del doping perché non è lei a decidere e, sicuramente, non è lei a sapere cosa viene introdotto nel suo corpo. Ma nel caso di Valieva si arriva al paradosso criminale: non è stata considerata persona protetta né da chi le ha dato quelle sostanze, né da chi aveva il dovere di capire che era innocente. Doping e antidoping, chi viola la legge e chi la amministra si sono schierati dalla stessa parte, per convenienza reciproca: chi per tentare di vincere una medaglia, chi per dimostrare di essere bravo a punire, ma sfogandosi sul più debole, l’agnello sacrificale.
Infine, l’ipocrisia sempre più grande di chi inventa scuse e stravolge le regole pur di giustificare questa “caccia alla ragazza”. Qualche giorno fa, è apparsa su un quotidiano un’intervista a Olivier Niggli, il direttore generale della Wada, l’agenzia mondiale antidoping. Si parla in generale di tante vicende, a partire da quella della squalifica del marciatore italiano Alex Schwazer e, proprio su lui, Niggli è molto preciso e inattaccabile quando spiega perché Schwazer è stato ritenuto colpevole, perché i suoi tentativi di far riaprire il caso sono inconsistenti, insomma, un perfetto direttore generale della Wada. Poi, c’è una domanda sulla Valieva e qui Niggli sembra diventare il primo sprovveduto che passa per la strada, che non sa alcunché di regole sul doping.
La domanda riguarda proprio il fatto che Valieva non è stata considerata “persona protetta” dal Tas e quindi se possa essere giudicata diversamente rispetto agli altri. Ed ecco la risposta di Niggli: «No. Ed è stato dimostrato, lei ha beneficiato di una regola sui minori riguardo alla tempistica, è rimasta in gara, il giudizio però non è cambiato, è stata squalificata e quella storiella assurda sui medicinali del nonno finiti nella torta è stata demolita».
E qui si entra nel teatrino dell’assurdo. Niggli sostiene che la regola sulla “persona protetta” si applica solo per la tempistica, quindi l’atleta sotto i 16 anni può rimanere in gara, ma alla fine può essere giudicata e condannata. Ma stiamo scherzando? Partiamo dal fatto che questa tesi è semplicemente illogica. Se fosse vero che il principio della regola è questo, cosa succederebbe: la persona protetta viene trovata positiva al controllo antidoping, ma resta in gara, quella in cui si trova quando arriva il risultato del controllo perché quella del controllo ormai è finita da tempo, poi viene squalificata e il risultato della gara viene annullato. E allora perché rimane in gara? Perché può sperare che le controanalisi la assolvano e resta col risultato acquisito? Ma questo tipo di protezione, allora, dovrebbe essere riservato a chiunque, non solo alle “persone protette”. Infatti, gli adulti, invece, non possono gareggiare, vengono fermati subito, ma anche loro potrebbero risultare “puliti” dopo le controanalisi, ma la gara cui non hanno potuto partecipare per loro ormai è perduta. Insomma, un gran casino.
Ma questo attorcigliamento, cui si arriva se la tesi di Niggli fosse vera, non ha ragione di essere perché la regola della “persona protetta” prevede esplicitamente che l’atleta inferiore ai 16 anni non può essere squalificata. Punto e basta.
E che sia così, a smentire clamorosamente Niggli, è proprio il Tas quando motiva il fatto di non aver applicato la regola della persona protetta. Il Tas, infatti, nella sentenza spiega chiaramente che avrebbe potuto applicare la regola e non squalificare Valieva, ma non ha potuto farlo perché la Rusada, nelle sue regole, non lo prevede. Quindi, dice il Tas, la regola è quella, la persona protetta non può essere squalificata, ma nel caso della Valieva non può essere applicata perché lei è russa e la Rusada nel suo regolamento non parla della persona protetta. In pratica, il Tas dice di “essere costretto” a non applicare la regola della persona protetta per esclusiva colpa dei russi. Che questo, poi, non sia vero è un’altra questione, perché la Rusada nel suo regolamento ha l’indicazione della persona protetta e dice che deve essere giudicata diversamente dagli adulti, e il Tas ha semplicemente bluffato pur di squalificare Valieva, perché poteva comunque applicare la regola della persona protetta anche se questa non era inserita nel regolamento della Rusada (e non è vero, perché è inserita). Scuse da bambini.
Ma rimane il principio generale. Qualcuno dica a Niggli che sta dicendo il contrario di quello che sostiene il Tas. Che si mettano d’accordo!
La verità, purtroppo, che deriva da questo tortuoso e labirintico modo di esprimersi, del Tas e di Niggli, è che la squalifica della Valieva è illegittima e che è stata decisa a tavolino con il solo scopo di punire la Russia, col risultato di aver stroncato questa povera ragazza e, più in generale, tutto il pattinaggio artistico sul ghiaccio che è tornato a livelli tecnici preistorici.
Tags: #antidoping, #kamilavalieva, #pattinaggioartistico, #pattinaggiosughiaccio, doping

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Nota sull’autore: Gennaro Bozza

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