Kamila Valieva squalificata 4 anni dal Tas (Tribunale arbitrale dello sport). La vittima designata è stata infine condannata, ma con motivazioni che lasciano ben intendere quale enorme guerra fra nazioni e federazioni sia stata messa in atto e combattuta sulle spalle di una ragazza di 15 anni presa come capro espiatorio.
Valieva fu trovata positiva alla trimetazidina, farmaco per gli ammalati di angina pectoris. Fu poi assolta dalla Rusada, l’agenzia russa antidoping, ma la Wada (agenzia mondiale antidoping) fece ricorso al Tas, che ora ha condannato Valieva a 4 anni di squalifica a partire dal 25 dicembre 2021, data del prelievo del campione per il controllo antidoping. La squalifica è stata inflitta nonostante Valieva, al momento dell’accertamento del doping, fosse “persona protetta” perché sotto i 16 anni di età, fatto che prevede la non punibilità. E questo è il punto più importante per capire come tutto il processo sia stato solo una rappresentazione teatrale di una lotta a più alti livelli.
Subito dopo la decisione del Tas, l’Isu (la Federazione mondiale del ghiaccio) ha preso una decisione che appare ancora più ridicola: invece di squalificare la Russia (o meglio, la squadra Roc, acronimo di Comitato olimpico russo) perché un suo componente è stato trovato positivo al doping, come accade per tutti i casi di squadre o staffette, ha soltanto cancellato i risultati della Valieva, nel Corto e nel Libero Donne. In questo modo, la Russia è rimasta in classifica è ha comunque preso la medaglia di bronzo, con l’oro che passa agli Usa e l’argento al Giappone. Il Canada, quarto, che sperava nel bronzo, ha annunciato reclamo contro la decisione dell’Isu. Una decisione che è davvero paradossale, quasi un paravento per nascondersi dall’accusa di essere contro gli atleti russi, come dire: siamo contro gli atleti che si dopano, non contro la Russia. Finendo col significare, invece, che si è proprio contro la Russia senza avere il coraggio di manifestarlo.
C’è la necessità, comunque, di precisare alcune cose per capire meglio la vicenda, a partire dalla motivazione con cui il Tas ha escluso la salvaguardia di Valieva come “persona protetta”. Il Tas nella sentenza scrive che Valieva non può essere considerata “persona protetta” perché la Rusada nel suo regolamento non fa distinzione fra atleti adulti e atleti sotto i 16 anni, appunto le persone protette. E questo possiamo già dire che non è vero, visto che siamo in possesso dal regolamento russo, ma partiamo prima da un’altra considerazione per poi arrivare al punto principale. Tutti ad accusare i russi di essere imbroglioni, brutti, sporchi e cattivi, che favoriscono il doping di stato e quant’altro, ma quando c’è la necessità di superare le regole internazionali, che prevedono l’impunibilità di chi ha meno di 16 anni, ecco che si fa riferimento al regolamento della Russia, che non prevederebbe (ma non è vero) questa distinzione. Cos’è questo? Il gioco delle tre carte per cui il mazziere ha sempre ragione? O i russi sono imbroglioni e inaffidabili o le loro regole sono buone e sagge, non si può scegliere una volta una versione e un’altra volta l’opposto.
Ma andiamo alla sostanza. Il Tas dice che il regolamento della Rusada non prevede la distinzione fra atleti adulti e persone protette. Come già detto, non è così. Il regolamento Rusada, nella sezione Annex che esplicita il senso delle disposizioni in materia di doping, riporta testualmente che “i fattori da prendere in considerazione nella valutazione del grado di colpa di un Atleta o di un’altra Persona includono, ad esempio, se l’Atleta o altra Persona è una Persona Protetta”. Il testo completo, nella versione inglese, è alle pagine 63-64. Quindi la Rusada dice esplicitamente che la “persona protetta” va considerata in altra maniera rispetto alla persona adulta.
Qual è allora l’inghippo escogitato per superare questo ostacolo e poter squalificare Valieva? Qui i russi hanno una parte di colpa perché nella sezione relativa alle punizioni (la 12.2) e ai motivi di esenzione o riduzione (12.5, 12.6 e 12.7) non hanno ripetuto il concetto espresso nell’Annex, ritenendo magari che non ce ne fosse bisogno perché era stato comunque fissato un principio e che questo sarebbe bastato per una conseguente applicazione dal punto di vista logico.
Il Tas, invece, si è tenuto strettamente al testo della regola 12.2 e ha detto, in pratica: se i russi non considerano le persone protette, perché dovremmo farlo noi? Quindi, il Tas ha detto che le regole dei russi brutti e cattivi sono invece belle e buone. Serve altro per capire come la povera Valieva sia stata messa sull’altare e sacrificata?
Un altro paio di considerazioni prima di arrivare al punto finale, quello relativo a cosa possa fare adesso la Russia. Dando per scontato che il doping della Valieva sia vero, qualcuno saprebbe spiegare come può una ragazza di 15 anni, nel sistema russo tra l’altro (ma anche in tante altre nazioni “occidentali e democratiche” il sistema è lo stesso), assumere consapevolmente una sostanza come la trimetazidina, conoscendone anche gli effetti sul suo fisico e sulle sue prestazioni? E’ fin troppo evidente che qualunque persona sotto i 16 anni, oltre a non avere le conoscenze necessarie per decidere di prendere questa o quella sostanza, non ha la forza di opporsi a decisioni dello staff tecnico e atletico: se un allenatore gli dà qualcosa e dice che gli fa bene perché è un integratore che non è doping, può forse rifiutare dicendo che invece quello è doping? Ma stiamo scherzando?
E ancora. Da tanti anni le “terribili ragazzine russe” dominano il pattinaggio artistico su ghiaccio e, prima e dopo Valieva, nessuna è mai stata trovata positiva al doping, nonostante gli innumerevoli controlli in gara (sono sempre sul podio e non possono evitarli) e fuori, in Russia e nel resto del mondo. E poi viene fuori questo caso discusso, anche nelle procedure e nelle forme, con i ritardi nell’accertamento e nella comunicazione, durante l’Olimpiade invernale, tre mesi dopo il controllo, quando Valieva è già in gara. La Russia avrebbe potuto schierare nella gara a squadre anche la ventesima (non sto esagerando, è proprio così) pattinatrice della classifica nazionale russa e avrebbe stracciato tutti gli altri in ogni caso. Del resto, pur con le due prove della Valieva azzerate, entrambe vinte, la Russia si ritrova terza in classifica, si può facilmente capire quale sia la situazione. Infine, ciliegina su questa immonda torta, gli allenatori russi, al contrario degli atleti che sono stati esclusi dalle gare dell’Isu in risposta alla guerra fra Russia e Ucraina, continuano tranquillamente a essere ammessi alle gare, dirigendo atleti di altre nazioni. Quindi, anche qualcuno che ha eventualmente deciso di dare una sostanza vietata alla Valieva continua a fare il suo lavoro senza timore di squalifiche o embargo. Insomma, la dimostrazione che qui non sono in ballo i principi sportivi, ma solo la voglia di cancellare una nazione.
Ed ecco la conclusione. La Russia potrebbe fare un ultimo reclamo, nel Tribunale Federale della Svizzera, che non è un tribunale sportivo, ma ordinario, che può essere considerato, almeno per quanto riguarda le dispute sportive mondiali, come la Cassazione italiana. Quindi, il Tribunale Federale non può emettere un’altra sentenza diversa da quella del Tas, può solo riconoscere che sono stati lesi i diritti della persona coinvolta nel procedimento e ordinarne uno nuovo sempre davanti al Tas. Un caso simile è avvenuto con il nuotatore cinese Sun Yang, condannato dal Tas, che aveva fatto ricorso sostenendo che il presidente del panel Tas nel suo caso, l’italiano Franco Frattini, era responsabile di pregiudizi anticinesi in alcuni suoi post sui social. Il Tribunale Federale gli aveva dato ragione e aveva ordinato un nuovo processo senza Frattini fra i giudici. Poi Sun Yang è stato squalificato anche dal nuovo panel del Tas, ma rimane l’esempio di come funziona il Tribunale Federale e quali provvedimenti ci si possa aspettare che prenda.
I russi hanno come unica tesi rimasta a loro disposizione il fatto che il Tas non abbia tenuto in considerazione il principio logico del diritto delle persone protette a godere di un regime speciale, dichiarato esplicitamente in una parte delle regole antidoping e non ripetuto in una parte delle regole stesse. Non avendolo tenuto in considerazione, il Tas avrebbe leso i diritti della Valieva e quindi la sentenza dovrebbe essere annullata e dovrebbe essere disposto un nuovo processo davanti al Tas. I russi hanno 30 giorni di tempo per decidere se fare ricorso, perciò non resta che aspettare ed eventualmente vedere cosa deciderà il Tribunale Federale svizzero.
Al di là delle procedure legali, sportive e no, resta l’amara sensazione di un gioco fra potenti sulle spalle di una ragazzina di 15 anni, fenomeno assoluto sul ghiaccio con prestazioni che col doping niente hanno a che fare, che ora ne ha 17 e vede malinconicamente chiudersi la possibilità di continuare a mostrare meraviglie. La squalifica di 4 anni, quando sarebbe potuta essere di soli 2 anni considerandola “persona protetta” come era suo diritto inalienabile, è uno sfregio a lei innanzitutto e allo sport, che alcuni potenti hanno fatto diventare anch’esso teatro di una guerra che si combatte con morte e distruzione su altri campi.
Valieva, vittima designata di una sporca guerra
La pattinatrice russa squalificata 4 anni dal Tas, con una sentenza che ignora i suoi legittimi diritti di “persona protetta”. Come e perché non doveva essere punita. E infine la barzelletta della Russia che resta sul podio olimpico