Hanno fatto i conti senza l’oste. Se i giovani non conoscono quest’espressione dei saggi, di certo la stanno imparando sulla propria pelle. Perché, quando l’Atp gli ha lastricato la strada verso il successo, costruendo una passerella dedicata, la Race to Milan, una classifica ad hoc per i loro risultati che qualifica alle inedite NextGen Finals del 7-11 novembre a Milano, i migliori under 21 del mondo si sono sentiti – giustamente – inorgogliti e valorizzati. E sicuramente garantiranno un nuovo, elettrizzante, spettacolo che, per cinque anni, garantirà all’Italia di avere una secondo grande torneo anche nel Nord.
Ahiloro, i giovani, come molti osservatori, si sono lasciati influenzare dalla crisi violenta del 2016 di Federer e Nadal e dal calo di rendimento di Djokovic e Murray. E probabilmente hanno pensato la meta fosse molto più vicina. Errore. Il passaggio dal mondo under 18 al professionismo spinto è sempre stato uno scalino delicato da salire, spesso scivoloso, a volte traumatico. Basti guardare al re di Wimbledon juniores, Gianluigi Quinzi, che – complici troppi cambi di guida tecnica – non sta ancora rispettando le grandi promesse. Perché, proprio come nella scuola dell’obbligo, troppe sono le differenze fra Medie e Superiori, troppe le variabili nuove, a cominciare dal fisico da adolescenti, che deve cambiare in fretta per adeguarsi da subito ad un confronto impari con uomini fatti e finiti, ed allenati alla resistenza di un circuito senza soste. L’unico, insieme al golf, fra gli sport pro, che si gioca tutte le settimane dell’anno.
Lo stress, da assorbire e metabolizzare in tempi brevissimi, è quindi fisico ed è anche mentale. Perché è stimolato da mille calcoli di classifica, e quindi di possibilità o meno di disputare certi tornei oppure no, e dai premi con cui sostenere spese sempre più importanti, dal tecnico al preparatore atletico. Con le mille incognite di infortuni e stati di forma che vanno e vengono, a contrasto con professionisti rodati da più stagioni che invece non hanno dubbi e approfittando di ogni mancanza per accumulare un certo vantaggio. Guardando quindi ai risultati dei primi sei mesi dell’anno, dopo il giro di boa del secondo Slam stagionale, sulla terra rossa di Parigi, la NextGen, a parte il solo Sascha Zverev, non è protagonista in assoluto come qualcuno poteva pensare. A 20 anni appena, Alessandro il Grande, primo candidato al numero 1 del mondo del futuro, coi successi a Montpellier e Monaco di Baviera, soprattutto, al Masters 1000 di Roma, stracciando Djokovic in finale, esula da questa valutazione. Tanto che, da attuale numero 10 del mondo dell’ATP Tour, sarà probabilmente costretto a disputare sia il Masters dei giovani che quello dei seniores. Ma non sarebbe giusto bocciare anche molti dei suoi coetanei. Perché, in realtà il giudizio è falsato dalla straordinarietà dei due soliti noti, Roger Federer e Rafa Nadal, che, a sorpresa anche di sé stessi, si sono aggiudicati due tornei dello Slam su due e quattro Masters 1000 su cinque. Riproponendo la schiacciante superiorità che solo i grandi campioni riesco a dimostrare. Ma è un fenomeno unico, che esula dal comportamento degli avversari.
Se infatti le finali, almeno le finali, avessero visto stabili protagonisti i giocatori della generazione di mezzo, da Berdych a Tsonga, da Monfils a Nishikori, da Cilic a Raonic a Dimitrov, allora il voto per la NextGen dovrebbe essere abbassato, ma essendo tornato il tennis una corsa a due – in attesa del risveglio degli altri due Fab Four, Murray e Djokovic -, ed essendosi posticipata sempre più la data di esplosione dei giovani a livello Atp Tour, gli under 21 meritano sempre il massimo della considerazione e della fiducia. Da Kachanov (già 39 dell’ATP Tour) a Chung (58) che ben si sono comportati già a Parigi, a Coric (n. 46 della classifica dei grandi), Tiafoe, Escobedo, Donaldson, Medvedev, Ruud, che citiamo in ordine di classifica, che sicuramente diranno la loro presto, a cominciare dall’erba di Wimbledon, dove grandi battitori come Fritz ed Opelka potranno far danni, come il talento bizzoso di Rublev. Intanto che si fanno le ossa, alternandosi fra tornei Challenger e qualificazion/primi turni dei tornei più grandi, quelli della NextGen rimangono una concreta speranza del futuro, con le punte un po’ più agé, Thiem e Kyrgios, a segnare la strada. Un primo, reale, giudizio su di loro si potrà dare solo a fine stagione. L’età gioca con loro e impedirà ai grandi vecchi Federer e Nadal di bocciarli prima del tempo come la generazione perduta di mezzo, dell’89-’91. Quella sì, sotto accusa, ieri e oggi.
Vincenzo Martucci