Melbourne, Roland Garros, Wimbledon, come anche Indian Wells, Miami, Montecarlo, Madrid… Il tennis sembra fare un salto all’indietro, riproponendo sulla massima ribalta Roger Federer e Rafa Nadal, due campioni non certo della NextGen, cioè gli under 21 lanciato dall’Atp Tour per le Finals del 7-11 novembre a Milano, ma piuttosto esponenti della vecchia generazione. Che sprintano anche sui 30enni Djokovic e Murray. Troppo forti quei due o troppo deboli gli altri? E, comunque, esistono altre motivazioni, tecnico-fisiche per spiegare la longevità dei due protagonisti assoluti del ventennio? Mats Wilander sostiene che la colpa è delle scuole tennis che insegnano solo la quantità e non la qualità, Roger Federer nota: “Lo so che poi puoi essere risucchiato dall’attitudine quando non vuoi attaccare, ma se non puoi fare la volée non andrai nemmeno a rete. E quasi tutti giocatori in gara a Wimbledon non potevamo fare servizio-volée. E per me è spaventoso, a questo livello. Se do un’occhiata alle statistiche e leggo che il mio avversario sta facendo il 2% dei punti a rete, so che non fa servizio-volée, che è una bella cosa per me. E l’erba era veloce… Spero che vedremo più allenatori e molti giocatori ch si prendano le loro chances a rete, perché lì possono succedere belle cose. Non credo che il tennis maschile abbia un problema reale di gioco, ma la velocità non è così elevata come negli anni 80, i margini sono maggiori per la velocità della superficie e della palla e per la tecnologia delle racchette. Bisogna colpire tanti buoni colpi per superare Murray o Djokovic e, sui cinque set, non ce la fai e i più forti se ne approfittano”.
Sempre secondo Federer, c’è anche un problema di sistema di classifica. “E’ vero, dalla generazione mia e di Rafa, questa generazione non stata abbastanza forte da sbatterci fuori. Un giovane, se vuole fare passi avanti, non solo deve battere me o gli altri al top, ma se non arriva in finale o vince il torneo, non prende abbastanza punti per salire in classifica. E non è facile vincere cinque match di fila nei tornei, la continuità di cui necessita la nuova generazione è abbastanza complessa. Anche per i differenti stili di gioco dei giocatori al top – metti Stan [Wawrinka], Cilic e i primi quattro – per i giovani è dura. Ma è anche un problema di gioco e se ti metti a giocare da fondo con Murray, Djokovic, Rafa e gli altri, buona fortuna, caro giovane”.
Eppooi c’è il fattore bonus points: “Io sono cresciuto coi bonus points, ricordo di aver giocato contro Pat Rafter sul Suzanne Lenglen a Parigi e per me erano il doppio dei punti, mi sembra che fossero 45 punti per battere un giocatore fra il 2 e il 5 del mondo, e io ne per 90 contro di lui, più i punti del turno. Ovviamente a volte non riesci a difendere quei punti l’anno dopo, ma ricordo che per me fu importante battere un avversario così forte, e in quelle circostanze. Del resto, non trovo nemmeno giusto che uno arriva fino ai quarti, come Andy (Murray a Wimbledon) e guadagna appena 360 punti, mentre io me ne porto via 2000. Penso che la differenza sia troppo grande. Ed così solo da qualche anno. Penso non sia giusto: se vinci otto tornei “250” prendi tanti punti quanti se vinci uno Slam”.
Federer, da autentico e sincero ambasciatore dello sport, difende i valori assoluti. “Dal mio punto di vista, l’attuale sistema di classifica è perfetto: posso giocare poco e fare tanti punti lo stesso con gli Slam, e così posso anche decidere se e quando attaccare la classifica, per salire ancora. L’unico aspetto che capisco è che i migliori dovrebbero essere quelli che vincono i tornei più grandi: perciò abbiamo tanti punti nei Masters 1000s, negli Slams nelle World Tour Finals.”
Vincenzo Martucci