La telenovela Schwazer sembra essere arrivata all’ultima puntata, con la partecipazione del marciatore alla trasmissione “Grande fratello” e l’annuncio, dato da lui stesso, del rifiuto della Wada a concedergli uno sconto di pena che gli avrebbe permesso, in teoria, di tentare di partecipare all’Olimpiade di Parigi. La squalifica scadrà regolarmente il 7 luglio 2024 e Alex Schwazer non avrà alcuna possibilità di andare a Parigi. Tutta questa storia ha avuto la quasi totalità dei mezzi di informazione schierata a difesa del marciatore, assecondando le accuse di un complotto ai suoi danni lanciate soprattutto da Sandro Donati, che dal 2015 è diventato il suo allenatore.
Questo notevole sforzo propagandistico ha praticamente sommerso le poche voci che hanno invece cercato di far notare tutte le incongruenze della difesa di Schwazer e mettere in risalto i suoi errori e la giustezza delle procedure che hanno portato alla squalifica. In proposito, ricordo i precedenti articoli pubblicati su questo sito in modo da presentare un quadro preciso di quanto accaduto:
https://www.sportsenators.it/14/05/2020/la-vera-storia-del-caso-alex-schwarzer-e-della-sua-condanna/
https://www.sportsenators.it/10/04/2021/schwazer-le-verita-nascoste/
https://www.sportsenators.it/01/07/2021/da-schwazer-a-sun-yang-quei-complotti-inventati/
L’evoluzione della vicenda impone nuove argomentazioni. Per esaminare tutto con la massima precisione possibile chiediamo la collaborazione di un esperto del settore, Stefano La Sorda, istruttore Fidal dal 1997, giudice di marcia nazionale per la Federazione Svizzera dal 2015 e giudice di marcia internazionale dal 2023. La sua lunga intervista sarà suddivisa in più puntate.
Cominciamo dagli aspetti legati al caso doping nel concreto: il test a inizio gennaio 2016, il trasporto delle provette fino al laboratorio, i cinque mesi che passano per comunicare la positività e così via. I difensori di Schwazer mettono insieme tutte queste cose per prospettare una regia unica di un complotto. In realtà, tutto questo percorso ha una logica lineare, a garanzia dell’atleta, che sarebbe bene chiarire e che esclude qualsiasi tipo di macchinazione.
“Il bello è che tutto questo è già stato chiarito nella sentenza del Tas, documento irriso da chi sostiene che siano state dette fesserie. Il test a inizio gennaio non è una cosa strana, in quegli stessi giorni ce ne sono stati tanti altri in tutto il mondo e nessun atleta ha protestato perché sia avvenuto durante le festività. E vediamo perché si è arrivati a maggio per la comunicazione della positività. Il campione di urina è preso l’1 gennaio, nella sentenza del Tas ci sono anche le date esatte, e si fa il primo screening, che è una analisi standard, vale a dire che non si cercano sostanze particolari, si prendono i valori e si registrano all’interno del sistema Adams, il database mondiale in cui vengono inseriti tutti i risultati delle analisi dei professionisti. Questo sistema, grazie a particolari algoritmi, va a evidenziare eventuali anomalie in queste analisi”.
Nel caso di Schwazer, l’inserimento dei valori venuti fuori dal test avviene in ritardo, ma per un motivo ben preciso.
“Quando si avvicina una nuova Olimpiade, ci sono ritardi perché il Cio dà la precedenza alle ri-analisi dei campioni dei Giochi olimpici precedenti, lo si fa con tecniche nuove per evitare che atleti dopati in precedenza possano partecipare di nuovo. Così, non è stato possibile inserire subito i valori delle analisi di Schwazer relativi al test dell’1 gennaio perché il laboratorio era impegnato in quest’altro lavoro. Li hanno inseriti nel sistema Adams a febbraio”.
E in quel momento cosa succede?
“Il sistema elettronico dà un’allerta sul campione anonimo, che è di Schwazer. Quando c’è un’anomalia del genere, non è che ci sia un controllo costante e istantaneo. Gli esperti del passaporto biologico monitorano questi dati e quando c’è l’allerta vanno a rivedere l’analisi e trovano il rapporto fra testosterone esogeno, non prodotto dal corpo e quindi introdotto dall’esterno, ed endogeno, prodotto dal corpo. Il valore normale è circa 1, per Schwazer viene trovato a 3,45, è anomalo, non c’è dubbio che sia anomalo”.
A questo punto, scatta la fase decisiva per stabilire se si tratta di doping.
“Quando viene trovato questo valore, l’unità del passaporto biologico prende i dati, chiama Colonia e chiede di far rianalizzare il campione con il sistema Irms (isotope ratio mass spectrometry, ndr). A Colonia eseguono l’esame e trovano steroidi esogeni, una sostanza dopante presente nelle urine. Se non ci fosse stata l’anomalia segnalata non si sarebbe mai fatta l’analisi più approfondita. Di solito questa analisi si fa per i sollevatori di pesi, è uno standard, la fanno subito, o anche per i nuotatori”.
E nell’atletica, invece?
“Nell’atletica, almeno per il regolamento della Wada, anche per ottimizzare i costi, non si può fare sempre e indistintamente. Noi immaginiamo che l’antidoping sia una cosa semplice, si raccoglie l’urina, si porta in laboratorio, si mette una stanghetta, se diventa rossa è doping, se è verde no. Non funziona così. Ci sono analisi di diverso tipo, valutazioni. E poi c’è il passaporto biologico per cui quando si trova un valore anomalo rispetto ai valori standard nelle urine si può fare un’analisi più approfondita, l’Irms, che stabilirà se c’è questa sostanza dopante o no.
E qui bisogna precisare che ci sono due tipi di passaporto biologico: quello ematologico, il classico che viene usato per i ciclisti; e poi quello steroideo, che è nuovo, esiste dal 2015”.
La differenza è anche e soprattutto nella certezza dell’individuazione del doping.
“Noi siamo abituati al passaporto biologico ematologico. Si fanno varie analisi del sangue nel tempo, se ci sono valori anomali l’atleta viene accusato per conseguenza, cioè ci sono anomalie e lui le deve spiegare. Quindi col passaporto ematologico non si riesce a trovare effettivamente la sostanza, ma si ipotizza che l’atleta stia facendo doping del sangue, quale tipo di doping non si riesce a dirlo. Infatti, c’è una lunga battaglia legale sul passaporto ematologico, può essere una trasfusione, può essere l’uso di epo. Lo steroideo invece è molto più certo. Si trova un’anomalia non nel sangue ma nelle urine e c’è la possibilità di fare un controllo più approfondito che dà la certezza della presenza della sostanza”.
I tempi non brevi, quindi, si spiegano. La difesa di Schwazer sostiene che il primo campione era negativo, ma poi ad aprile c’è la prima “sentenza” dell’analisi Irms.
“Il primo campione negativo? E qual è il problema? Si possono analizzare fino a dieci anni dal prelievo, con tecniche nuove, e trovare il doping, come avviene con i controlli sulle Olimpiadi precedenti. Fra l’altro, l’analisi Irms sul campione di Schwazer viene fatta due volte, la prima ad aprile e per avere i risultati ci vuole una settimana, poi se ne fa un’altra a maggio, dopo la gara di Coppa del Mondo a Roma. Ad aprile già trovano Schwazer positivo agli steroidi. La procedura della Wada prevede che si debba fare un’analisi di conferma aggiuntiva, e la rifanno a maggio. E il risultato di positività effettivo è del 13 maggio, dopo la Coppa del mondo a Roma. Dal 13 maggio fino al 21 giugno, quando viene comunicata a Schwazer la positività, in effetti passa un po’ di tempo, più di un mese, ma non è neanche così scandaloso perché, siccome è un’analisi complessa, il laboratorio deve preparare il materiale, lo deve spedire all’autorità di controllo, questa deve incrociare numero e nome e solo allora sa chi è l’atleta. A quel punto, non si comunica ancora all’atleta il risultato, bisogna preparare le carte perché qualsiasi imperfezione documentale potrebbe consentire all’accusato di usarla per far invalidare il controllo, quindi si deve fare tutto con calma e precisione. Prima della Coppa del Mondo a Roma nessuno sapeva se quel campione era positivo. C’era un’analisi a metà che diceva che quel campione era positivo ma stavano facendo l’analisi di conferma. Ma questo lo sapeva il laboratorio, non lo sapeva l’autorità di controllo. Il laboratorio, quando analizza il campione, non ha il nome dell’atleta, ha il numero”.
(1 – continua)