Ritorno al futuro. In attesa del bagno di folla di Torino per la nuova Italia di capitan Volandri e di Sinner, Sonego, Fognini, Bolelli e Musetti contro Usa e Colombia di oggi e domani al Pala Alpitour, la nuova coppa Davis è di nuovo sotto attacco. E probabilmente cambierà ancora. Infatti, dopo i problemi della prima edizione di Madrid 2019 e la cancellazione per Covid del 2020, quest’anno la gara a squadre più antica del tennis ha cambiato formula abbracciando l’idea di più sedi per il girone eliminatorio che promuove alla fase finale sempre di Madrid del 2 dicembre. Ma evidentemente non basta a recuperare il senso più intimo della gara, il senso di appartenenza, il nazionalismo, la bandiera, l’affetto del pubblico di casa. Se poi, magari ad arte, magari per vedere l’effetto che fa, spunta fuori il nome di Abu Dhabi negli Emirati Arabi Uniti (EAU) quale possibile sede per cinque anni della fase finale della Coppa, ecco che il malcontento fra i tradizionalisti diventa dispetto e protesta. E torna come un boomerang agli organizzatori Kosmos, cioé alla società che fa capo al calciatore Gerard Piqué per una nuova revisione.
Il campione serbo punterebbe quindi a 18 squadre spalmate in 6 città, sempre con l’intento – giusto, genuino – di “portare il nostro sport in luoghi dove non è popolare, per promuoverlo”.
Lleyton Hewitt, che da giocatore era detto “Il selvaggio” per la grinta che sfoderava in campo e che ha cercato di trasmettere al primo allievo Alex De Minaur, una volta capitano non giocatore di coppa Davis, si è calato perfettamente nella parte, ma resta fortemente infiammabile.
E quando a Torino, dopo il 3-0 che la sua Australia rimedia contro la Croazia, gli riportano l’ipotesi di un trasferimento della Coppa negli Emirati, risponde secco: “Penso che sia ridicolo. Così non si tratterebbe più di coppa Davis. Sulla faccenda, negli ultimi tre o quattro anni, ormai sono stato piuttosto esplicito. Si è visto anche qui, in questo bellissimo e grande stadio dove la folla non è stata enorme per noi, che non è questa l’essenza della Davis. Alcuni dei miei ricordi più belli della carriera sono legati a questa gara, con semifinali e finali davanti a tribune affollate. Non importava se fosse in Australia o alle Hawaii. L’atmosfera era sempre incredibile. A volte le sfide in trasferta erano quasi altrettanto speciali perché dovevi trovare un modo per riuscire a tener unita la squadra e farle fronteggiare proprio quella situazione esterna del pubblico. Oggi Tony Roche ed io ci ritroviamo a raccontare ai nostri ragazzi storie di quando abbiamo avuto l’opportunità di giocare in alcune di quelle situazioni, e sono solo molto deluso, specialmente per un ragazzo come Alex che farebbe qualsiasi cosa per essere in quelle situazioni se potesse giocare in grandi partite”.
L’ex numero 1 del mondo, campione di Slam e delle ATP Finals, contesta anche i capisaldi della riforma ITF: “Non è vero che i più forti non giocavano più la Davis. Era solo Roger (Federer), e comunque anche lui ha fatto di tutto per ottenere il suo nome scritto sulla Coppa. Ecco quanto ha significato per un ragazzo come Roger all’epoca in cui era il più grande giocatore di tutti i tempi. Perché quella gara ha significato molto per tutti i migliori: Novak giocava ogni volta che contava per la Serbia, Andy (Murray)… abbiamo visto cosa ha passato per la Gran Bretagna per farle vincere la Davis. Io ho vissuto anche l’altra faccia della medaglia, il dolore di aver perso in semifinale, quindi so bene cosa significa per i più forti: Zverev ha giocato la Coppa, è venuto contro di noi in Australia, per lui giocare a Brisbane ha significato il mondo. C’era qualcosa di veramente speciale in questa gara”.
Così la disputa fra ATP e ITF si riaccende a partire da gennaio quando il tennis mondiale si trasferirà per tutto il mese “down under” per culminare poi negli Australian Open.
Vincenzo Martucci (Testo tratto da supertennis.tv)