Per parlare di Kamila Valieva nella giusta prospettiva proviamo a partire da un punto che può apparire lontanissimo o addirittura senza alcuna relazione con la vicenda della pattinatrice russa protagonista, suo malgrado, di quello che il Comitato Olimpico Internazionale, ma soprattutto il suo presidente Thomas Bach, ha classificato come uno scandalo insostenibile.
Partiamo, perciò, da Benedetta Pilato, con l’ovvia premessa che la giovanissima nuotatrice tarantina non ha alcunché a che fare con questioni di doping, al contrario della Valieva. Il “contatto” fra queste due figure di sportive è dovuto a un solo fattore, l’età alla quale hanno partecipato per la prima volta alle più grandi manifestazioni internazionali assolute: Valieva agli Europei 2022 (che ha vinto) a 15 anni e 9 mesi, all’Olimpiade invernale a Pechino 2022 un mese dopo; Pilato ai Mondiali a 14 anni e 6 mesi (argento nei 50 rana), all’Olimpiade estiva a Tokyo 2021 a 16 anni e 6 mesi. Secondo le linee dettate-imposte da Bach, per salvaguardare ragazze e ragazzi che praticano lo sport da professionisti, entrambe non potrebbero partecipare a queste gare prima dei 17 anni. So benissimo che qui scatta l’obiezione: Bach ha parlato solo del pattinaggio artistico su ghiaccio, quindi la Pilato non c’entra. Ma devo obiettare a mia volta: Bach ha parlato in assoluto di salvaguardia dei giovanissimi contro lo sfruttamento, contro la possibilità che siano vittime di abusi (doping o altro, come trattamenti inumani da parte degli allenatori) con lo scopo di usarli per assicurare medaglie alle loro Nazioni, non ha parlato di limiti di età solo per gli sport in cui ci siano stati casi di doping giovanile, sia pure contestati come quello della Valieva (e comunque, anche se lo avesse fatto, avrebbe dovuto aggiungere altri sport). Di conseguenza, se dobbiamo fare riferimento alle parole di Bach e ai principi cui lui si è ispirato, o almeno quelli a cui lui dice di essersi ispirato, il limite di 17 anni non può valere solo per il pattinaggio artistico su ghiaccio, ma per tutti gli sport. Ed è qui che, provocatoriamente, ho tirato in ballo Benedetta Pilato. E da qui bisogna partire per tentare di capire cosa è successo davvero a Pechino nel caso Valieva, che conseguenze possono scaturire da quel gran pasticcio e quanti e quali sono i responsabili di un caos che non è legato solo al doping, contrariamente a quello che un superficiale resoconto dei mezzi di informazione mondiale ha voluto far credere.
L’INDIGNAZIONE CHE VA E CHE VIENE
E allora. Mettiamo che vengano approvati nuovi regolamenti che impediscano agli atleti sotto i 17 anni di partecipare a Mondiali e Olimpiadi, e più in generale a gare “senior”, possiamo già immaginare le reazioni dei vari Paesi in base agli atleti di punta under 17 che hanno negli sport che portano più medaglie alla loro bandiera: ci sarebbe una sollevazione popolare. L’Italia potrebbe recriminare per Benedetta Pilato, le altre nazioni per tanti atleti, come la Cina nei tuffi (ricordiamo l’oro olimpico della 14enne Quan Hongchang nei 10 metri a Tokyo l’anno scorso), giapponesi nello skateboard (la 13enne Momiji Nishiya oro, la 12enne Kokona Hiraki argento, la 16enne Funa Nakayama bronzo a Tokyo l’anno scorso), ma nelle varie edizioni di Mondiali e Olimpiadi tutti sarebbero coinvolti, a partire dagli Stati Uniti (cominciando da Debbie Meyer, tre ori a Messico 1968 nel nuoto a 16 anni, prima nuotatrice a ottenere questo risultato) e dall’Australia (Shane Gould, tre ori a 16 anni a Monaco 1972, più tante altre “ragazzine terribili”) nel nuoto femminile, per arrivare alla Gran Bretagna (oro mondiale nei tuffi a Roma 2009 col 14enne Tom Daley) e via così, senza dimenticare ovviamente Federica Pellegrini, argento olimpico a 16 anni ad Atene 2004.
Qual è la discriminante? Se si fanno riferimenti tecnici precisi è un conto, per cui si può contestare al pattinaggio artistico su ghiaccio l’anomalia, esclusiva delle donne, per cui i risultati migliori adesso si ottengono quando si è giovanissime a causa del preponderante effetto dei salti quadrupli che hanno sconvolto i punteggi e messo in secondo piano la componente artistica, e si tratta di performance che svaniscono nel tempo a causa dell’appesantimento fisico. Ma, premesso che ci sono anche altri sport in cui questa anomalia è presente, come i tuffi dalla piattaforma, specialmente femminile, con bambine dal fisico minuto che riescono a realizzare performance acrobatiche migliori, ma la cui carriera è in bilico per le trasformazioni fisiche nella crescita (nel trampolino il problema non esiste, lì bisogna avere un fisico sviluppato e potente, quindi bambini e bambine sono esclusi), il punto essenziale è questo: si sta facendo un discorso tecnico relativo a ogni singolo sport o uno di principio sui giovanissimi nello sport? Nel primo caso, solo alcuni sport, come il pattinaggio artistico su ghiaccio (e i tuffi e altri ancora), devono fare una riflessione sulla loro essenza tecnica, agonistica e spettacolare. Nel secondo caso, tutti gli sport sono coinvolti. Perciò, l’appello di Bach alla salvaguardia dei giovanissimi nello sport appare strumentale al desiderio del Cio di vendicarsi della Russia, calpestando in questa azione i diritti umani, prima ancora che sportivi, della Valieva, e ignorando tutto il resto.
LA CARICA DEI GIOVANISSIMI
E tutto il resto viene clamorosamente a galla quando si va a vedere nel dettaglio quale sia la realtà dei giovanissimi alle Olimpiadi. Perché tutta l’attenzione dei mezzi di informazione è stata dedicata alla Valieva e alle sue compagne di squadra, ma il quadro è ben più ampio. Così, solo per cronaca, ricordiamo che all’Olimpiade di Tokyo l’anno scorso, gli under 17 (l’età che si vorrebbe fissare come limite per la partecipazione senior) erano ben 29 nel nuoto (26 donne e 3 uomini), 13 nello skateboard (con 12enni e 13enni), 7 nella ginnastica artistica e una nella ritmica, 6 nei tuffi, 2 nel tennistavolo e uno nell’atletica; all’Olimpiade invernale di Pechino 6 nello sci freestyle, 3 nello snowboard, oltre alle 3 russe nel pattinaggio artistico su ghiaccio, Anna Shcherbakova e Aleksandra Trusova, oro e argento nel singolo donne e ad altre due in questo stesso sport: Alysa Liu (Usa) 16 anni e 6 mesi, Anastasiia Shabotova (Ucraina) 16 anni e un mese. E proprio la presenza della statunitense Alysa Liu induce a qualche riflessione. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti l’hanno lanciata come grande sfida alle russe, visti i buoni risultati da lei ottenuti da junior. A Pechino, quando è venuta fuori la notizia della positività della Valieva dopo un controllo antidoping, i mezzi di informazione Usa hanno prospettato ancor più la possibilità di una medaglia per lei e hanno protestato a gran voce sostenendo che Alysa Liu veniva danneggiata dalla decisione del Tas (ci arriviamo fra poco) di far gareggiare la Valieva nel singolo. Sempre restando nella fredda cronaca, la Liu è finita settima, senza la Valieva sarebbe stata sesta, ma con zero possibilità di medaglia, visto che davanti a lei ci sono le giapponesi Sakamoto (bronzo) e Higuchi (quinta), la sudcoreana You Young (sesta), oltre alle due russe già citate, oro e argento. Ma allora, quando c’è la prospettiva di una medaglia (sia pure non credibile, visto che le giapponesi e la sudcoreana sono chiaramente più forti della statunitense, come risulta a chiunque segua con un minimo di attenzione questo sport) l’età non ha più valore, la salvaguardia dei giovanissimi non è più un problema. E che siano proprio gli statunitensi a portare avanti questa doppia morale non è una sorpresa, visto che dall’Usada (l’Agenzia statunitense antidoping) e dai mezzi di informazione Usa è poi arrivata una notizia “inutile” per la verità ma “utile” per gli interessi di chi voleva distruggere la Valieva e la Russia: insieme alla sostanza dopante, la Trimetazidina, nell’urina prelevata alla Valieva il 25 dicembre, ci sono altre due sostanze, L-Carnitina e Hypoxen, che non sono inserite nell’elenco di quelle proibite. E perché mai viene data pubblicità a queste due sostanze? Perché, spiegano i grandi mezzi di informazione, sono “al limite”. Si inserisce così un nuovo concetto di doping: le sostanze “al limite”. Non sono considerate doping, se presenti nell’organismo dell’atleta non hanno conseguenze disciplinari, ma vengono comunque propagandate addirittura dall’Usada come sostanze “sospette” e acriticamente accettate sotto questa veste dai giornalisti di tutto il mondo. Siamo arrivati così al nocciolo della questione: la volontà di fare chiarezza o la volontà di vendicarsi della Russia. Ed è quindi il momento di approfondire Il caso Valieva sotto il profilo base: il controllo antidoping e le successive fasi.
I BUCHI DELL’ANTIDOPING
Kamila Valieva è sottoposta a un controllo antidoping il 25 dicembre, durante i Campionati Nazionali Russi. I flaconi con l’urina vanno al laboratorio di Stoccolma, che deve eseguire le analisi. Il risultato, però, arriva solo l’8 febbraio, dopo che la Russia ha già vinto la gara a squadre all’Olimpiade di Pechino, con Valieva in pista. A questo punto, la pattinatrice russa dovrebbe essere fermata, ma la Russia chiede la sospensione di qualsiasi decisione e la Rusada (l’Agenzia russa antidoping), a cui deve essere indirizzata la richiesta, concede la sospensione, quindi Valieva può gareggiare nel singolo. Il Cio e la Wada (l’Agenzia mondiale antidoping) fanno ricorso al Tas (Tribunale di arbitrato sportivo) chiedendo di fermare la Valieva. Il Tas si riunisce a Pechino, decide di non accogliere la richiesta di Cio e Wada e permette a Valieva di gareggiare, con queste quattro motivazioni:
1) In quanto 15enne, Kamila Valieva fa parte di una categoria protetta, quella delle persone considerate minorenni perché di età inferiore ai 16 anni.
2) Il codice antidoping non prevede la sospensione cautelare di persone protette.
3) La sospensione avrebbe creato danni irreparabili all’atleta, che non è risultata positiva ai Giochi, ma il 25 dicembre.
4) La notifica tardiva non è una colpa dell’atleta e ha pregiudicato la sua possibilità di elaborare una strategia difensiva.
Da questa decisione si capisce una cosa fondamentale: il sistema antidoping ha grossi buchi, a cominciare da quello dell’età degli atleti, considerati categoria protetta se minorenni in base al Codice mondiale antidoping (WADC). Ma non c’è solo questo, perché non si spiega perché il laboratorio di Stoccolma ci ha messo così tanto tempo, un mese e mezzo, per avere il risultato e comunicarlo. La Wada trova un modo quantomeno originale per spiegarlo: la Rusada doveva scrivere sul flacone che era di atleta di interesse particolare, quindi bisognava sbrigarsi, venendo così sbeffeggiata da tutti, visto che comunque un mese e mezzo è un tempo assurdo, che si sapeva benissimo, venendo dai Campionati nazionali russi, che si trattava comunque di atleta potenziale medaglia olimpica. Ma ormai è guerra dichiarata fra Cio e Wada da una parte, Russia dall’altra.
LO SFREGIO
Così, al Cio non resta che un’arma insolita per ribattere alla decisione del Tas: l’umiliazione della Valieva, sotto forma di salvaguardia degli altri atleti, con la sospensione delle cerimonie di premiazione in cui lei sia coinvolta e dell’assegnazione delle relative medaglie. E’ una decisione che non è mai stata presa in passato, né dal Cio né da alcuna Federazione mondiale, e questo acuisce la sensazione che non di giustizia si tratti, ma di sfregio alla Russia per aver messo in luce le pecche della legislazione antidoping, di cui sono responsabili Cio e Wada, e per averne approfittato, legalmente sia chiaro, in modo da permettere alla Valieva di gareggiare a Pechino. Ma per fare uno sfregio alla Russia si colpisce una ragazza di 15 anni, senza alcun ritegno né rispetto.
Che senso ha, in effetti, la sospensione di consegna delle medaglie e delle cerimonie? A parte il fatto che si colpiscono anche gli atleti che non c’entrano con questa storia, negando loro la gioia del podio in una Olimpiade, si va contro qualsiasi logica. Nel concreto, che vantaggio poteva mai avere la Russia nello schierare la Valieva nella gara a squadre? Avrebbe potuto far scendere in pista sia la Shcherbakova, sia la Trusova e avrebbe comunque vinto senza alcun problema l’oro. Di fronte a questa obiezione, il Cio non ha risposto in prima persona, ma qualcuno ha controbattuto al posto suo: perché la Russia voleva umiliare il Cio e dimostrare di
essere più forte. Quindi, la Russia, solamente per orgoglio, avrebbe schierato la Valieva nella gara a squadre sapendo che la medaglia sarebbe poi stata tolta nel caso il doping fosse poi stato accertato definitivamente al termine del cammino burocratico. E già, perché la sospensiva concessa alla Valieva dalla Rusada, e poi confermata dal Tas, non eliminava la procedura di infrazione alle norme antidoping. Bisognerebbe aver letto Sherlock Holmes per avere più chiaro il quadro della situazione. Il celebre investigatore inventato da Arthur Conan Doyle per spiegare l’infondatezza di una tesi accusatoria faceva notare che il sospettato si comportava, a fasi alterne, da genio del male e da idiota, solo per far coincidere le sue azioni con la tesi dell’accusa. Così, la Russia è diabolica nel dopare un’atleta e farla gareggiare nonostante sia stata trovata positiva al controllo antidoping ma è così stupida da farla gareggiare nonostante sia stata trovata positiva al controllo antidoping pur avendo altre due atlete nettamente superiori al resto del mondo!
Nel singolo può anche rischiare di perdere una medaglia, perché non può più sostituire l’atleta sotto accusa (la comunicazione è arrivata a Olimpiade già cominciata) e ha comunque i primi due posti assicurati con le altre due campionesse anche se poi arriverà la conferma del doping per la Valieva. Ma nella gara a squadre questo non ha alcun senso. Ma il Cio, nella sua furia giustizialista, non bada a quisquilie come la logica.
Tutto questo si traduce nella volontà di far male alla Valieva. Giova qui ricordare le parole dell’avvocata Flavia Tortorella, esperta di diritto sportivo, che in un articolo sulla stampa italiana ha messo in evidenza gli aspetti più importanti di questo caso, a cominciare dalle pecche del Cio. Così, fa notare, fra le altre cose, “la rilevata lacuna normativa in ordine alla mancanza di una disciplina specifica sulla sospensione provvisoria da irrogare nei confronti di una persona protetta” e compila un vero atto d’accusa nei confronti del Cio e della Wada.
IL VALZER DEGLI IMPUNITI
Il Cio non fa altro che additare la Valieva come “impura partecipante” pur dicendo di volerla rispettare. Ma davvero con lei in pista l’Olimpiade sarebbe stata “sporcata”? E qui è opportuno rivedere alcuni casi del passato, più o meno recente, in cui proprio le Nazioni che si ergono adesso a grandi vestali della purezza dello sport, si sono distinte, e continuano a distinguersi, come specialisti del sotterfugio per evitare l’antidoping. Qui di seguito ci sono i link di miei articoli apparsi su questo stesso sito in cui vengono alla luce misfatti impuniti, a cominciare dalla ginnasta statunitense Biles (https://www.sportsenators.it/0
Per farla breve, Simone Biles gareggia con dosi massicce di medicinali considerati doping sin da quando aveva 15 anni, ma con prescrizione medica per una malattia, il deficit di attenzione, che viene curata in quel modo solo negli Usa, per cui le atlete di quasi tutte le altre nazioni, anche se avessero la stessa malattia, non potrebbero prendere quei medicinali perché i medici dei loro Paesi non li prescrivono. Ma anche ammesso che sia normale utilizzare quel farmaco il punto più importante e scandaloso è che la Biles ha gareggiato all’Olimpiade di Rio con una autorizzazione irregolare per usare quel farmaco: infatti, il prolungamento delle precedenti autorizzazioni, cominciate nel 2012, viene firmato dal vicepresidente della Federazione mondiale ginnastica, Michel Leglise, che al momento della firma non può firmare alcunché perché è sotto squalifica dalla sua stessa Federazione. In seguito gli verrà tolta la squalifica e avrà solo un “avvertimento”, ma la sua firma nel momento in cui era squalificato restava comunque illecita. Così, a dicembre 2014 la Biles ottiene un prolungamento di addirittura 4 anni nell’autorizzazione a usare un farmaco dopante. Quindi, in base a qualsiasi legislazione sportiva o civile, non avrebbe potuto partecipare all’Olimpiade di Rio.m E il Cio? Muto!
Nel caso di Coleman, si verifica un pasticcio dovuto a regole scritte in maniera poco chiara da parte della Wada e lo statunitense ne approfitta per scampare alla squalifica (anche se successivamente salterà un altro controllo antidoping e si beccherà una squalifica che gli impedisce di andare ai Giochi di Tokyo). In quel caso, il Cio e la Wada se ne sono stati zitti e buoni, hanno addirittura rinunciato ai ricorsi.
Infine, per restare nei quartieri “alti” dei grandi campioni della storia dell’atletica, bisogna ricordare il caso di Carl Lewis, messo in luce in un articolo dell’inviata speciale di Repubblica, Emanuela Audisio, in un articolo del 2003. Ai Trials di Indianapolis, gara di qualificazione all’Olimpiade 1988 di Seul, Lewis viene trovato positivo tre volte: per efedrina, pseudoefedrina e fenilpropanolamina. Ecco la dichiarazione di Lewis nel pezzo della Audisio: “Era contenuta in un integratore alle erbe che prendevo, io non lo sapevo. Ma comunque non mi ha mai dato alcun vantaggio. Sfido chiunque a provare che l’efedrina possa migliorare le prestazioni”. Insomma, decideva lui, insieme alla Federazione statunitense, quale doping è permesso e quale no. E aggiunge che c’erano molti altri atleti nella sua stessa situazione, addirittura centinaia, “graziati” dopo essere stati trovati positivi nei controlli antidoping. Manuela Audisio chiude il pezzo facendo la considerazione più logica: “Il problema non è se la sostanza aiuti o meno, ma se sia vietata. Lo era. Ma non abbastanza per l’America”. Quindi, gli Stati Uniti possono decidere cosa è doping per loro e cosa è doping per gli altri. E le due cose non coincidono.
IL POVERO VASO DI COCCIO
Ed eccoci alla fine, almeno per il momento. Non resta altro che aspettare l’esito delle controanalisi, così il risultato definitivo sulla positività della Valieva permetterà di passare alle decisioni disciplinari. Ma anche qui, probabilmente, le polemiche non saranno escluse perché, in teoria, la Valieva, minorenne, non potrebbe essere squalificata. Secondo altre interpretazioni, fatte trapelare sempre dai soliti ambienti vicini al Cio, una squalifica, sia pur minima, ci potrebbe stare. E anche qui si andrebbe avanti con ricorsi davanti ai tribunali sportivi e poi a quelli ordinari. Altra possibilità è quella della squalifica di allenatori della Valieva, a cominciare dalla “strega” Eteri Tutberidze, e dirigenti della Russia, ma il ritornello è lo stesso: ricorsi ai tribunali sportivi e no. Il problema è come mettere in relazione il doping accertato con la responsabilità di tecnici e dirigenti dell’atleta. Il principio di salvaguardia dei minorenni è quello che li considera non pienamente responsabili dell’assunzione di sostanze proibite, oltre che non in grado di decidere quali sostanze e con quali dosi andare avanti nel programma personale di doping. E’ chiaro che se un minorenne ha doping in corpo non è stato lui a decidere, ma chi gli sta attorno, e si prevede anche lo scenario in cui è costretto ad assumere farmaci per lui sconosciuti dietro ordine di allenatori e dirigenti, o ad assumerli senza averne consapevolezza, inseriti a loro insaputa in cibi o integratori. Ma come fare a stabilire queste responsabilità con sicurezza e precisione? Non è una questione facile da risolvere.
E in questo quadro sempre più squallido è fuorviante fare riferimento, come ha fatto Bach, ai rapporti “umani” fra allenatori e atleti. Ricorrere a queste considerazioni è chiaramente un tentativo di creare confusione e spostare la discussione su temi “morali” anziché su quelli strettamente scientifici riguardanti il doping. Il che non significa che la “moralità” non sia un valore da considerare, ma non può essere inquadrata in schemi precostituiti: il rimprovero è lecito? un insulto del tecnico va punito? i dieci giri di campo in più per punizione sono una tortura? E via così, come si fa a codificare un rapporto umano, a meno che non trascenda negli abusi da denuncia penale? Si è mai interessato Bach, come presidente del Cio, a questo tipo di rapporti, ai metodi di allenamento duri o meno duri, alle frasi consolatorie e alle carezze degli allenatori ai loro piccoli atleti? Ma stiamo davvero scherzando? Bisogna arrivare, come è successo negli Stati Uniti recentemente, ai processi penali nei tribunali ordinari per accorgersi che un allenatore di ginnastica abusava delle atlete minorenni per anni e anni senza che alcuno intervenisse, anzi con il tacito consenso dei vertici della Federazione? Ma il peccato mortale lo compie la Tutberidze che, invece di consolare la Valieva, la rimprovera perché non ha reagito alle avversità? Chiariamo bene: io, personalmente, considerato tutto quello che la Valieva ha passato, alla forza che ha dimostrato nel Corto del singolo, quando ha fallito il primo salto e ha saputo riprendersi, rimettersi in piedi e terminare la prova comunque al primo posto, alle pressioni che ha subito da sciacalli professionisti, e dopo averla vista cadere e piangere nel Libero e poi venire rimproverata dalla sua allenatrice, avrei detto alla Tutberidze: “Sei la stronza più stronza di tutte le stronze esistenti sulla faccia della Terra”. Ma dire, come ha fatto Bach, di essere preoccupato per l’ambiente in cui si trova la Valieva, beh, questa è l’ipocrisia più squallida di tutte, proprio da lui che ha provocato tutto questo dicendo al mondo intero che se lei fosse finita a medaglia la premiazione non ci sarebbe stata, traduzione gaglioffa e vigliacca di “Ecco la colpevole, prendetevela con lei”.
Kamila, 15 anni, povero vaso di coccio fra potenti che non hanno nemmeno il coraggio di affrontarsi l’uno contro l’altro. Kamila, l’unica persona coraggiosa e degna di rispetto in questa triste storia.
Gennaro Bozza (Foto tratta da corriere.it)