A metà degli anni Sessanta andai per la prima volta negli Stati Uniti per motivi di lavoro, non collegati all’atletica. Lì appresi un termine di cui all’inizio non capivo il significato: “Token”. Come tanti, pur avendo conseguito nel mio soggiorno londinese un “proficiency”, mi aggiustavo con uno di quei piccoli vocabolarietti.
La traduzione in italiano diceva “gettone”. Li per lì pensai a quell’assurdo strumento che si usava in Italia per telefonare, quando tutto il mondo lo aveva eliminato e sostituito con moneta corrente. Poi capii che il significato era un altro. Era più che altro un “simbolo” che allora negli Stati Uniti in particolare si usava per indicare una persona di colore inserito in qualsiasi struttura/organizzazione/foto od altro. Con il tempo e con l’emancipazione il termine non fu più in uso. Poi venne anche Barack Obama come presidente degli Stati Uniti.
Invece quel termine lo sentii ancora alla fine degli anni Novanta in Australia quando ci si riferiva agli aborigeni che, forse per un senso di colpa, erano inseriti in molte parti del Comitato Organizzatore dei Giochi di Sydney. Poi ancora nelle mie frequentazioni prima dei Giochi di Vancouver, in una forma diversa, ritornò il concetto. Lì ci si riferiva alla “First Nation” ed un rappresentante di tale entità era sempre presente, onorato e rispettato, in tutte le occasioni ufficiali con saluto e riferimento, anche se poi erano sempre silenziosi. Anche lì era un senso di colpa nei confronti della loro “First Nation”. Chiesi spiegazioni ad un italocanadese che sorprendentemente mi disse: “è come un prelato in una cerimonia pubblica in Italia”.
La parola “Token” mi è tornata alla mente recentemente con riferimento alle donne nello Sport italiano. Tema che credo la stessa Valentina Vezzali, nel suo ruolo di Sottosegretario di Stato con delega allo Sport, abbia sollevato in occasione dell’approvazione di una lista di Revisori dei Conti nominati dal CONI nelle Federazioni Nazionali. Ed allora ho percorso con la memoria – e quindi mi scuso per le eventuali dimenticanze –, ricordi del passato che hanno provocato tutta una serie di riflessioni e forse anche un senso di colpa.
Così ho ricordato tutte le donne che negli ultimi 30 anni sono passati negli organi elettivi del CONI. Così ho rivisto Manuela Di Centa, Evelina Christillin, Diana Bianchedi, Fiona May, Alessandra Sensini, ed ora Silvia Salis, Claudia Giordani e Norma Gimondi e grazie alla sua recente elezioni come rappresentante degli atleti nel CIO, Federica Pellegrini. A livello nazionale e con solo riferimento al mondo dello sport nostrano hanno tutte “ballato una sola estate”. Come a dire che sono state negli organismi elettivi (con una sola eccezione) solo quattro anni. Un po’ come un “usa e getta”.
Eppure alcune di loro avrebbero potuto salire ai vertici federali ed essere confermate nei ruoli del CONI. La cosa non è migliore nelle posizioni apicali delle Federazioni. Mai un presidente donna, con una eccezione durata un lampo di qualche mese quando Antonella Dallari venne eletta al vertice della Federazione degli Sport Equestri, elezione poi annullata dall’Alta Corte di Giustizia per irregolarità. Per organismi nazionali – ma non con diritto a voto nel CN del CONI – vanno ricordate le posizioni di Carla Giuliani, di Antonella Granata e la indimenticabile Novella Calligaris.
A livello di strutture dirigenziali CONI merita ricordare solo due eccezioni femminili: Rossana Ciuffetti, Direttore della Scuola dello Sport, ed Anna Riccardi, Dirigente Responsabile dei Servizi di Squadra della Preparazione Olimpica. Non mi pare molto. Nelle Federazioni Nazionali, come già detto, mai un Presidente.
Ricordo solo una solitaria e storica Segretaria Generale, Adriana Tiberi, alla federazione Lotta e Pesi. Per far riferimento più specifico all’Atletica, di cui so di più, qui sono passate nelle cariche elettive alcune donne ed anche loro “hanno ballato – per lo più – una sola estate”. Parlo di Anna Maria Carli, Concetta Balsorio, Anna Rita Balzani, Lyana Calvesi, Sabrina Fraccaroli, Ida Nicolini, Silvia Salis, Nicoletta Tozzi, Valentina Uccheddu, e con l’ultima tornata di nuovo Anna Rita Balzani, poi Grazia Vanni, Margherita Magnani ed Elisabetta Artuso.
In tutto 12 consiglieri su più di 150 nominativi. Molte di loro elette in quota atleti, tecnici o addirittura nelle orrende “quote rosa”. L’atletica può aggiungere a questa negativa percentuale il caso di un’atleta come Paola Pigni che – forse a causa del marito che era Direttore Tecnico della stessa – per esprimersi al meglio come dirigente è dovuta emigrare alla … Federazione Bocce.
Tutto un po’ pochino, no? È vero che nella politica e nell’industria la situazione non è migliore. Ma nello sport è sicuramente peggio. Eppure nell’ultima squadra olimpica di Tokyo le donne erano quasi in pari numero degli uomini ed anche a livello di successi e medaglie in questi ultimi anni le donne l’hanno fatta alla grande. A Tokyo hanno riportato 15 medaglie su 40 più una nella mista della vela (quasi il 40%). Perché tutto questo? È una domanda che ci dobbiamo fare tutti, responsabili di oggi e di ieri, e trovare una soluzione per il futuro. In questa carenza di vocazione dirigenziale (e di mediocrità generale) lo sport italiano ha bisogno dell’apporto delle donne che hanno sempre dimostrato serietà, determinazione ed equilibrio. Ma soprattutto dobbiamo smetterla di considerarle un “Token” e cioè farle “ballare una sola estate”.
Luciano Barra (Tratto da sportolimpico.it)
Foto in alto: Antonella Bellutti, candidata alla presidenza del CONI