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Ciclismo

Si scrive Kruijswijk, si legge vincitore morale all’Alpe d’Huez. Anzi, sono due, con Nibali. Che però si ritira!

Da Marco Pastonesi 20/07/2018

Il Tour si infiamma in salita: prima con la fuga dell’olandese (raggiunto quando mancavano 3500 metri all’apoteosi) poi con la caduta dell’italiano, che risale in sella e recupera sui primi, ma lascia la gara: ha una vertebra fratturata

 Se la vittoria non fosse stabilita dal cronometro né baciata dalle miss, ma valutata dagli applausi e aggiudicata dall’ammirazione, allora il vincitore della tappa dell’Alpe d’Huez (e prima anche del Colle della Maddalena e del Colle della Croce di Ferro, con l’intermezzo della pugnalata delle Lacets de Montvernier: in tutto, 71 dei 175 km erano in salita) – Tour de France – non è il gallese Geraint Thomas, ma l’olandese Steven Kruijswijk. E lo è veramente: se non il vincitore ufficiale che finirà in classifiche, statistiche, annali, enciclopedie e – trattandosi dell’Alpe d’Huez – nella targhetta in uno dei 21 tornanti, ma certamente il vincitore morale, che entra in anime, cuori, spiriti.
E’ un’antica categoria, quella dei vincitori morali: da Ettore, schermidore e lottatore sconfitto da Achille nella guerra di Troia intorno al 1250 a.C. (o forse dopo), a Dorando Pietri, maratoneta squalificato a un niente dal traguardo all’Olimpiade di Londra nel 1908, i vincitori morali hanno la sfortuna di perdere in vita (e, come nel caso di Ettore, la vita stessa), ma di vincere dopo, ancora, sempre. Perché i vincitori morali sono gli unici capaci di collegare, unire, sovrapporre la vittoria alla sconfitta, anzi, la sconfitta alla vittoria, quindi realizzano il sogno di tutti quelli – spettatori compresi – che non si arrendono, che non accettano, che continuano a vivere il loro sogno associando e, allo stesso tempo, dissociando, negando e inventando, arbitrariamente e personalmente, finalmente e liberamente.
    “Morale” viene dal latino – Cicerone – “mos, moris”, che significa costume, e secondo la Treccani l’aggettivo si riferisce “ai costumi, cioè al vivere pratico, in quanto comporta una scelta consapevole tra azioni ugualmente possibili, ma alle quali compete o si attribuisce valore diverso o opposto (bene o male, giusto o ingiusto)”. Così il vincitore morale di una gara è “l’atleta che avrebbe meritato di vincerla, e che ha perduto solo per circostanze sfortunate”. Nel ciclismo, spesso, semplicemente perché esaurisce la benzina prima dell’arrivo. E il valoroso Kruijswijk, 4’20” di vantaggio ai piedi dell’Alpe (13,8 km all’8,1 per cento di pendenza media), 3’30” ai meno 9, 1’ ai meno 5, è rimasto a secco e raggiunto quando mancavano 3500 metri all’apoteosi. Amen.
     Steven Kruijswijk è un uomo di 31 anni, alto (1,78) e magro (66 kg), pelle bianca e capelli rossi, con le lentiggini, olandese di Nuenen, un luogo dove Van Gogh soggiornò e s’ispirò per i suoi “Mangiatori di patate”. Invece Kruijswijk (il cognome significa, più o meno, quartiere a croce, ma potrebbe anche alludere a una via della croce, dunque a un calvario, quello che per lui si è rivelata l’Alpe) è un mangiatore di chilometri e salite, di asfalto e tappe, di montagne e sogni. Ed è sorprendente ammirare quanti corridori dei Paesi Bassi pedalino bene sulle strade alte: fra i trionfatori proprio sull’Alpe d’Huez si contemplano Joop Zoetemelk (1976 e 1979), Hennie Kuiper (1977 e 1978), Peter Winnen (1981 e 1983), Steven Rooks (1988) e Gert-Jan Theunisse (1989). Oggi l’olandese volente (la volontà è il suo forte) più che volante (lo spunto non è il suo forte) ha vissuto una corsa memorabile, e gli è già successo: vincitore ufficiale due volte da solo e una con la squadra in nove anni da professionista, ma vincitore morale molto più spesso, anche quando volò sulla neve scendendo dal Colle dell’Agnello durante il Giro d’Italia del 2016 in maglia rosa.
    Un’altra differenza fra i vincitori è che quello ufficiale è uno solo (a meno di un eccezionale a pari merito), invece quelli morali possono essere anche due, tre o tutti, come accaduto in certe corse apocalittiche (il Bondone del 1956, il Gavia del 1988…). E così è successo anche stavolta: all’Alpe d’Huez il secondo vincitore morale è stato Vincenzo Nibali. E’ caduto in salita, per un incastro tra tifosi e gendarmi in una nuvola di fumogeni, ha perduto una cinquantina di secondi, è risalito in bici, ha inseguito e rimontato, è arrivato settimo a 13” da Thomas, ed è rimasto quarto nella generale a 2’37” dal gallese. Degno di inni ed elogi. Morali. Anche se poi ha dovuto lasciare il Tour: ha una vertebra fratturata.
Marco Pastonesi
Tags: Alpe d’Huez, ciclismo, Nibali…, ritiro, tour de france

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Nota sull’autore: Marco Pastonesi

Genovese, ha seguito 15 Giri d'Italia, 10 Tour de France, 4 Coppe del mondo e 18 Sei Nazioni di rugby. Ha scritto, fra l’altro: Pantani era un dio, L'Uragano nero, Gli angeli di Coppi e I diavoli di Bartali, Ovalia - il dizionario erotico del rugby.

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