Febbraio. Per definizione il mese più triste di tutti. Piovoso, senza festività, giorni grigi e lavoro, lavoro, lavoro…
Falso! Febbraio è il mese in cui riparte il Sei Nazioni di rugby, il torneo più antico del mondo. “Appunto”, dirà il lettore, “oltre alla pioggia e al lavoro c’è l’Italia che continua a perdere nel Sei Nazioni!” Ok, chi ama il rugby è disposto anche a seguire una nazionale che perde da 32 partite di fila (trentadue!) nel torneo più importante. Perché però anche chi non è malato di rugby e sconfitte dovrebbe seguire il Sei Nazioni 2022?
Beh, perché non c’è solo l’Italia e perché questa Italia è nuova di zecca, all’esordio nel torneo. Nuovo allenatore, nuovo presidente federale, nuovo capitano. Certo, non possiamo farci molte illusioni sui risultati, ma è legittimo aspettarsi più di qualche bella giocata o prestazioni generose ma con imbarcata d’ordinanza. L’inizio è di quelli da incubo, a Parigi contro quella Francia che quest’anno punta apertamente al titolo. Una settimana dopo ospitiamo l’Inghilterra all’Olimpico di Roma, poi trasferta in Irlanda, penultima partita a Roma con la Scozia e chiusura in Galles, contro i campioni in carica. Onestamente, l’unica partita dove abbiamo qualche possibilità di vittoria è la solita, quella contro la Scozia in casa. Perché allora non segnare sul calendario il pomeriggio di sabato 12 marzo, saltando a piè pari quattro ennesime sconfitte contro squadre che da troppi anni mettono in campo un livello di gioco che noi non vediamo né da vicino né da lontano?
Perché chi è stanco del Sei Nazioni è stanco della vita. Siamo impazziti? Può darsi, ma non abbiamo cominciato noi, questa frase è di Lawrence Dallaglio, capitano dell’Inghilterra campione del mondo 2003 in Australia, di chiare origini italiane.
Pazzo? Quantomeno esagerato?
Eppure siete davvero stanchi di un torneo che porta nella Capitale una caterva di tifosi bizzarri, coloratissimi, stravaganti, rigonfi di birra ma sempre corretti ed educati? Un fiume umano una volta rosso per i dragoni gallesi, un’altra blu, anzi blues per i gallinacci di Francia, poi bianco – sono gli albionici fuori dalla UE e ossessionati dall’Italia del 2021 (gliele abbiamo suonate agli Europei, alle Olimpiadi e al Sei Nazioni… Non succede, ma se succede…), poi verde smeraldo, come l’isola da cui vengono gli irlandesi, secondo qualcuno italiani senza il sole, infine blu tartan dei kilt scozzesi. Capita a Roma, nel week end di Italia-Scozia, di imbattersi in piena notte in qualche corpulento kilt scozzese, vederli “sgargarozzare” da un locale all’altro, una sorta di pub-crowling nei vicoli del ghetto ebraico, sotto l’ombra lunare del Portico d’Ottavia. Ma non chiedetegli quale birra hanno preferito, risponderanno solo: “Our beer is better, but you fried artichokes are the best!” (La nostra birra è migliore, ma i vostri carciofi fritti sono il meglio!”).
I tifosi di Ovalia non deludono mai, i nostri non sono da meno. Se vi imbarcate in una follia ulteriore, andare a vedere l’Italia in trasferta, sarà impossibile – qualsiasi meta (meta!) scegliate – non incontrare sei allegri buontemponi vestiti da fette di pizza. Non siamo ubriachi, magari loro sì, ma è tutto vero: alcuni nostri connazionali hanno pensato bene che per farsi notare e apprezzare (si fa per dire) dai tifosi avversari sarebbe stato il massimo ribattezzarsi “Team Pizza” e dissacrare i templi storici del rugby europeo (dal londinese Twickhenham al Murrayfield di Edimburgo, passando per l’ex Lansdown Road di Dublino fino al Millenium Stadium di Cardiff, senza marcare visita allo Stade de France di Parigi), esibendosi come fette di pizza regolarmente paganti…
Ma non ci sono solo i tifosi e il Terzo Tempo, ci sono anche le storie sul campo, come quella di Gavin Hastings, leggenda dell’ovale scozzese che fallì la trasformazione più facile del mondo, a pochi metri davanti all’H spalancata, che avrebbe dato alla sua gente la vittoria contro i rivali di sempre, l’Inghilterra. Un errore madornale che non ha offuscato una carriera incredibile. A proposito, lo sapevate che ci sono tornei nel torneo? La sfida tra Inghilterra e Scozia assegna la Calcutta Cup, quella tra Italia e Francia il Trofeo Garibaldi, nell’unico derby latino di un torneo squisitamente anglosassone. C’è poi la Triple Crown, titolo che si assegna alla nazione britannica o irlandese che batte tutte le altre tre “cugine”: di fatto una riedizione del primo Sei Nazioni, anzi Quattro Nazioni, fino al 1909, ultimo anno prima dell’ingresso della Francia.
Ci sono anche squadre come l’Irlanda, di cui gli inglesi dissero una volta: “Meno male che bevono molta birra, altrimenti la loro intensità ci avrebbe ucciso”. Solo dall’avversario di sempre poteva arrivare questa bizzarra celebrazione del fighting spirit irlandese. Quell’Irlanda che nel 2007 seppellì di mete gli inglesi, dopo aver con grande sofferenza aperto le porte del Croke Park al rugby. Qual era il problema? Era lo stadio in cui si consumò una delle pagine più sanguinose e drammatiche della guerra d’indipendenza irlandese: durante una partita di calcio gaelico, un blindato inglese fece irruzione nello stadio e sparò ad alzo zero in risposta agli attentati degli uomini di Michael Collins. Da allora, gli irlandesi giurarono, in quello stadio non avrebbero mai più ospitato gli sport degli inglesi. Il rugby è tra questi, essendo nato a… Rugby, paesino inglese dove trovate un Walk ok Fame delle leggende ovali (compreso il nostro Stefano Bettarello) e quel giorno di primavera del 2007, con il Lansdown Road chiuso per lavori, la federazione irlandese accettò di far giocare uno sport degli inglesi al Croke Park. La motivazione dei verdi d’Irlanda era enorme, il risultato non poteva che essere nettamente a favore loro.
Il Sei Nazioni è fatto anche di giocatori unici, come il tre quarti francese Cristoph Juillet, che pennellò un aforisma degno di Verlaine: “Il Sei Nazioni è come un romanzo che la gente del rugby aspetta, ogni inverno, con la giusta ansia”. Giocatori unici non necessariamente in senso positivo, come il nostro Lawrence Dallaglio, che non contento della frase sopra ha pensato bene di mettere come copertina a una meravigliosa autobiografia di racconti di spogliatoio (“Dallaglio’s rugby tales”) la sua foto mentre, placcato dal mito Jonah Lomu, gli rifila un destro come per vendicarsi. Effettivamente sì, la frase sul Sei Nazioni l’ha detta proprio un pazzo.