Berlino, 18 agosto 2019.
È un giorno storico per Köpenick. È il giorno di Union Berlin – Red Bull Lipsia. I tifosi dell’Eisern Union, “L’Unione di Ferro”, alzano fieramente al cielo dalle tribune del “der Alten Foersterei” una serie di fotografie di compagni di tifo scomparsi negli ultimi 30 anni prima dello storico debutto in Bundesliga. Lo fanno per rivendicare che quei volti in bianco e nero sono lì, con loro, a vedere materializzarsi il sogno di una vita: poter incitare i propri colori durante un incontro di massima serie tedesca. Un gesto che sarà bollato da molti come retorico ma che, invece, racconta molto riguardo alla filosofia di vita di questo club, da un paio di anni ormai ai vertici del calcio tedesco.
“Non ogni tifoso dell’Union era nemico dello stato, ma ogni nemico dello stato era tifoso dell’Union”. Con questa frase lapidaria l’Eulenspiegel, mensile satirico berlinese, sintetizzava il clima che si poteva respirare attorno all’Union Berlin nel corso degli anni Ottanta. Il club vede la luce nel 1906 sotto il nome di SC Olympia 06 Oberschönweide. Negli anni ’20 si sposta a Köpenick, quartiere periferico di Berlino, per molto tempo nulla di più che un villaggio fortificato di pescatori. Con l’avvento dell’industrializzazione arrivano i primi stabilimenti siderurgici ed ecco dunque spiegati soprannomi come “Eisern Union”, “L’Unione di Ferro”, o “schlosserjungs”, “i metalmeccanici”, per via del completo blu con cui gioca la squadra, che ricorda i lavoratori dell’acciaio che affollavano le strade del quartiere.
Fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’SC Olympia si impone più volte a livello locale, divenendo così un habitué delle finali nazionali. Il 1945 stravolge, però, tutto: gli Alleati sciolgono tutte le associazioni tedesche, incluse quelle sportive. La squadra è quindi rifondata ma dura appena un lustro. Nel ‘50 comincia il delicatissimo processo di spartizione di Berlino, che sarebbe poi culminato nel 1961 con la costruzione del muro: una parte della squadra riesce a stabilirsi a Ovest, mentre l’altra rimane ad Est. È proprio da questa metà orientale che nasce l’1. FC Union Berlin, denominazione assunta dal club a partire dal 1966.
La neonata Union Berlin muove così i primi passi nel mondo pallonaro della Germania divisa all’inizio degli anni Settanta. E non è la sola: a Berlino Est c’è, infatti, la famigerata Dynamo Berlin, capace di mettere in bacheca dieci campionati della DDR consecutivamente, e nota per avere a capo Erich Mielke, fondatore della Stasi. Completano il panorama calcistico dell’epoca l’Hansa Rostock, il Lokomotiv Lipsia e la Carl Zeiss Jena, società sempre ligie ai dettami del partito e tolleranti innanzi ad ogni soperchieria sportiva favorevole alla Dynamo. È in questa cornice che dobbiamo ricercare la ragione di vita di un “Eisernen”. Nonostante fosse, e sia tutt’oggi, quanto di più lontano esista da un ipotetico centro, l’Union Berlin incarnava i valori e gli ideali di milioni di persone dell’Est. Rappresentava i lavoratori, senza che questo implicasse un suo schieramento a sinistra: la tifoseria, infatti, inglobava di tutto. Dalla subcultura punk, agli skinheads e studenti di qualunque estrazione sociale e politica. Il denominatore comune era non perdere alcuna occasione per mostrarsi contro il regime liberticida dell’Est. Non esistevano, e non esistono ancora oggi, ultras o riferimenti per il tifo organizzato.
Le soddisfazioni non sono molte: nel 1968, i giallorossi berlinesi conquistano il loro primo trofeo, la FDGB Pokal, strappata alla Carl Zeiss Jena. Per i Köpenicker le gioie maggiori sono, però, i derby vinti contro “i porci della Stasi” della Dynamo, anche se quello di cui i tifosi hanno più lieta memoria è lo storico 8-0 del 2005, in quarta serie, dove l’Union era precipitato, schiacciato dai problemi finanziari e salvato dai suoi tifosi che nel 2004 avevano iniziato a donare sangue agli ospedali, girando l’incasso al club.
Gli stravolgimenti del 1990 colgono l’Union in un momento economicamente difficile: per il biennio 1993-94, la neonata DFB nega ai berlinesi la promozione in 2 Bundesliga a causa di inadempienze finanziarie. Rischiato il fallimento definitivo nel 1997, l’Union inaugura il XXI secolo con una prestazione superlativa nel 2001 quando, oltre alla tanto agognata promozione in 2 Liga, conquista anche una insperata finale di coppa nazionale, poi persa contro lo Schalke 04, che vale, per l’anno successivo, la gloria della partecipazione alla Coppa Uefa.
La caduta del muro ha portato, nel frattempo, non pochi grattacapi anche al tifo dell’Union. Il professarsi un “Köpenicker” era espressione di un profondo disagio. Dal 9 novembre ’89 si è passati dall’essere “gli altri” dalla Dynamo, all’essere sì “gli altri”, ma rispetto all’Hertha, i “cugini simpatici” della Bundesliga. I tifosi hanno bisogno disperatamente di qualcosa che possa rimpiazzare degnamente la DDR. Quel qualcosa, col passare del tempo, è venuto a bussare alla porta dell’Eisern Union: si tratta dello spettro del “den Modernen Fussball”, il calcio moderno. Una lotta contro lo snaturarsi, contro l’ingresso in un mondo fatto di sponsorizzazioni e curve senza più posti in piedi.
Le vicende attorno alla casa di tutti gli “schlosserjungs”, il meraviglioso Stadion “An der Alten Försterei”, lo “Stadio nei pressi dell’Antica Casa del Guardaboschi”, vanno lette in questo senso. Inaugurato nel 1920, l’impianto deve il suo caratteristico appellativo al vicino bosco con annessa la pittoresca casa del guardaboschi, oggi sede societaria del club. I primi lavori di ristrutturazione nel corso degli anni ’70 e ’80 portano l’impianto al raggiungimento di una capienza di oltre 22.000 posti. La struttura inizia, però, a risultare obsolescente già a partire dagli anni ’90, ottenendo l’agibilità solo grazie al prolungamento annuale di deroghe temporanee. Il tutto si interrompe nel 2006, l’anno dei mondiali in Germania. Due le soluzioni che vengono messe sul tavolo delle trattative a dirigenti e tifosi dell’Union: trasloco o ammodernamento. I giallorossi decidono di non rinunciare alla loro casa, che li aveva ospitati per quasi 50 anni e in due Stati diversi (DDR e Bundesrepublik).
L’Union non è, però, un club di grande caratura. Le casse societarie non sono rimpinguiate da sponsor e né la DFB né il comune di Berlino hanno intenzione di salvaguardare un impianto che sarebbe stato lontano dai riflettori del mondiale. I lavori, dunque, non rimane che farseli da soli: oltre 2000 tifosi affrontano 140.000 ore di lavoro gratuito per il restauro dello stadio. Il tutto facendo affidamento su meno di tre milioni di euro di finanziamenti a propria disposizione, tutti arrivati dal basso. Oggi, fuori dall’impianto, si trova un elmetto da lavoro rosso, con incisi tutti i nomi degli operai che hanno contribuito alla realizzazione di un sogno.
Indicato dalla National Geographic Traveler come uno dei migliori impianti in cui respirare l’atmosfera verace del calcio tedesco, i tifosi ne hanno acquistato diverse quote di proprietà. Nel 2014, in occasione dei mondiali, il terreno di gioco è stato riempito da più di 800 divani per poter guardare le partite della Mannschaft su maxischermo. Un altro appuntamento al quale un “Köpenicker” non può mancare è la festa di Natale: lo stadio si riempie di tifosi che bevono vino, accendono candele e intonano cori e canti natalizi. Anche questo è testimonianza di come gli Eisernen abbiano saputo reinventare la loro idea di calcio: sono rimasti un club vecchio stampo, in una Berlino che spesso vive il pallone con superficialità.