L’8 agosto 2008, alle 8 di sera, comincia l’Olimpiade di Pechino. Le luci si spengono e il rombo di 2008 tamburi, lì dal prato dello stadio chiamato “Nido d’uccello”, si espande per tutto il globo e sembra una gigantesca eco delle parole pronunciate duecento anni prima da Napoleone mentre osservava la carta della terra: “Qui giace un gigante addormentato. Lasciatelo dormire, perché quando si sveglierà scuoterà il mondo!”. Dieci anni sono già passati, la Cina ha scosso il mondo e continua a farlo con la sua potenza economica, nonostante i mille difetti e contraddizioni del suo sistema politico e sociale, ma il ricordo di quei Giochi può suscitare ancora emozioni e sensazioni contrastanti per chi ci è stato come spettatore e per chi ci ha lavorato, come gli inviati dei mezzi di informazione. Proviamo a riguardare quelle immagini, proprio attraverso gli occhi da giornalista, senza un ordine preciso, giusto come un grande caleidoscopio di flash che si sovrappongono e chissà che alla fine si riesca a mettere meglio a fuoco qualche “fotografia” sbagliata o sbiadita.
LA PREPARAZIONE
La Cina vuole stupire il mondo e cerca di preparare un’edizione perfetta e sensazionale dei Giochi. Al di là degli aspetti spettacolari, grande cura viene messa nella “costruzione”, metaforica e no, dell’Olimpiade. E qui arriva la prima sorpresa che stupisce. Durante l’Olimpiade di Atene, nel 2004, il Comitato olimpico internazionale ha uno dei tanti incontri con il Comitato organizzatore locale per fare il punto sulla realizzazione degli impianti, vero punto debole in tutti i Giochi, con stadi e palazzetti che vengono completati a pochi giorni dall’inizio, come ad Atene 2004 e Londra 2012, o addirittura sostituiti da quelli vecchi perché non si è fatto in tempo a costruire i nuovi, come a Rio 2016. I cinesi presentano la situazione, l’evoluzione dei lavori e il Cio constata che quasi tutti gli impianti di Pechino 2008 saranno pronti addirittura due anni prima del 2008, lo stadio principale un anno prima. Il Cio, allora, chiede ai dirigenti cinesi di “rallentare” i lavori. Ci sono due motivazioni serie per questa richiesta: completarli troppo tempo prima dei Giochi può escludere eventuali novità in termini di sicurezza, per cui bisognerebbe rifare parti degli impianti per adeguarli alle nuove norme; inoltre, lasciare gli impianti poco o per niente utilizzati per due anni potrebbe causare danni o invecchiamento precoce. Perciò, i cinesi accettano di completare stadi e palazzetti nuovi (e rimodernare quelli già esistenti) “soltanto” un anno prima dell’agosto 2008. Può apparire strano, ma per chi conosce un po’ la Cina tutto questo è normale. Un solo esempio per capirsi meglio. Il Grande raccordo anulare di Roma, all’esterno della città, lungo circa 60 chilometri, è stato realizzato in 10 anni. A Shanghai, il sistema di strada sopraelevata, al centro della città, lungo 56 chilometri, è stato completato in 10 mesi.
NUMERI E SUPERSTIZIONE
I cinesi hanno l’8 come numero fortunato perché la sua pronuncia assomiglia a quella della parola “denaro”. Così come il 18, il cui suono significa “io ho soldi”. La sfortuna è simboleggiata dal numero 4, la cui pronuncia è simile a quella della parola “morte”, e il 14 può essere interpretato come “io muoio”. Dopo che la richiesta di organizzare l’Olimpiade del 2000 (andata poi a Sydney) fu bocciata, si credeva che la Cina si potesse candidare per quella del 2004. Ma quello è un anno sfortunato per i cinesi. Fatto sta che la municipalità di Shanghai, sempre in competizione con Pechino al punto da ritenersi la vera capitale della Cina moderna, provò a lanciare l’idea di una sua candidatura per il 2004, che però fu prontamente stoppata dal Governo. Al di là del fatto che la capitale dovesse avere la precedenza, i dirigenti cinesi misero un punto fermo: Pechino era stata bocciata, Pechino doveva essere accettata per organizzare i Giochi. E l’anno doveva essere il 2008. E l’inizio doveva essere il giorno 8 del mese 8, alle 8 di sera. Non importa che l’inaugurazione fosse di venerdì, perché in Cina non vale il nostro detto “di Venere e di Marte né si inizia né si parte”. Tutto deciso, quindi. Fatto sta che, su tantissimi mezzi di informazione di tutto il mondo venne fuori la storia che la devozione per il numero 8 era così grande da far scattare l’Olimpiade alle ore 8 e 8 minuti, e qualcuno aggiunse 8 secondi. Naturalmente, non era vero, tutto frutto della fantasia troppo spinta di qualche giornalista. L’orario era le 8. Il problema, però. È che quasi tutti i mezzi di informazione continuarono a sostenere le 8 e 8 minuti, salvo poi inventare scuse puerili quando la cerimonia inaugurale scattò alle 8 precise. Ma non è bastato. In molti articoli, tuttora, si sostiene che la cerimonia cominciò alle 8 e 8. Ma il massimo lo si ha in una famosa serie tv americana di qualche anno fa, Numbers, in cui il protagonista, interpretato dall’attore David Krumholtz, spiega le superstizioni cinesi legate ai numeri e dice che l’Olimpiade di Pechino cominciò alle ore 8 e 8 minuti e 8 secondi! Della serie: “vabbé, avete vinto voi”. Magari aggiungerci anche 8 decimi e 8 centesimi, no?
L’ACCOGLIENZA
I venti giorni che precedono l’8 agosto sono interessanti perché, poco alla volta, cominciano ad arrivare i giornalisti e c’è l’impatto con l’organizzazione, che si rivela sorprendente, nel senso che mai i giornalisti avevano trovato un sistema così efficiente e al tempo stesso semplice. Ma questo non elimina la diffidenza, anche con esiti ridicoli o paradossali. Nell’immenso Centro stampa, all’interno del Parco olimpico, c’è l’altrettanto immenso spazio per i ristoranti riservati ai giornalisti. Ce ne sono di quattro tipi, con servizio self service ma anche con possibilità di qualche richiesta diretta ai cuochi: occidentale, cinese, musulmano e indiano. In più c’è anche il McDonald. Nei primi giorni, un pasto super-abbondante, con antipasto, primo, secondo (anche autentica anatra alla pechinese), frutta, dolce e bevande costa circa 10 euro, che è davvero una miseria. Dopo una settimana, all’improvviso, i prezzi cambiano: lo stesso pasto descritto prima costa esattamente la metà, 5 euro. Richiesta di spiegazione: molti giornalisti, soprattutto statunitensi, inglesi e australiani, si sono lamentati per “il costo eccessivo”. E i dirigenti cinesi nemmeno si sono messi a discutere, hanno tagliato i prezzi del 50%! Chi è stato alle Olimpiadi sa benissimo che 4 anni dopo, a Londra, il costo di un pasto di due portate, frutta e bevanda (lasciando da parte la qualità, che meriterebbe un commento apposito) sarebbe stato di circa 25 euro, ma in quel caso nessun giornalista si è lamentato, nessuno ha protestato. Comunque, qualche giornalista che parla un po’ cinese e che riesce a conquistarsi la fiducia dei responsabili del Centro stampa prova a chiedere il motivo di questa accondiscendenza e, sia pure in maniera non ufficiale, la risposta arriva: “I dirigenti hanno dato disposizione a tutti quelli impegnati nell’organizzazione di soddisfare qualsiasi richiesta dei giornalisti stranieri, anche se clamorosamente non giusta. Dobbiamo dire sempre sì agli stranieri”. Certo, l’imposizione è sempre una brutta cosa, ma per chi se ne avvantaggia ci sarebbe anche l’obbligo di non approfittarne con richieste assurde per poi comunque disprezzare i cinesi.
CONTROLLI SENZA CONTROLLI
Un altro aspetto particolare dell’Olimpiade di Pechino riguarda i controlli di sicurezza. Il sistema previsto per i giornalisti mira a rendere tutto più semplice. In tutte le manifestazioni multi-sport i giornalisti passano attraverso i controlli di sicurezza in ogni impianto, così come quando entrano nel Centro stampa. A Pechino è diverso, con un sistema particolare che è stato usato anche in altre Olimpiadi, ma solo parzialmente. Per chi sceglie un albergo non riservato alla stampa e per chi va negli impianti con mezzi suoi, i controlli sono quelli usuali all’ingresso del Parco olimpico o dei singoli impianti al di fuori del Parco olimpico. Per chi alloggia negli alberghi ufficiali della stampa, la situazione è molto più semplice. Nell’albergo, c’è una entrata/uscita secondaria, non riservata ai clienti normali ma solo per i giornalisti, con un metal detector e un normale controllo di sicurezza. I giornalisti passano di là, dopodiché prendono un shuttle bus riservato a loro che va nel Parco olimpico e ci entra senza fermarsi ai controlli. Una volta dentro il Parco olimpico, i giornalisti possono entrare in uno dei 4 maggiori impianti che si trova lì dentro (per atletica, nuoto, tuffi, ginnastica, scherma), oltre che nel Centro stampa, senza subire più alcun controllo, di qualsiasi genere. Vanno dove vogliono senza che alcuno possa fermarli. Se poi devono andare in impianti che si trovano al di fuori del Parco olimpico e prendono lo shuttle bus riservato alla stampa la situazione on cambia: salgono sullo shuttle bus solo mostrando il pass da giornalista, arrivano nell’altro impianto e lo shuttle bus ha una sua entrata speciale, i giornalisti si trovano direttamente dentro l’impianto e vanno nella tribuna stampa senza passare attraverso alcun controllo. In pratica, per chi usa i mezzi ufficiali della stampa, c’è un solo controllo di sicurezza, all’uscita dall’albergo. Poi, per tutta la giornata, nessuno controlla più i giornalisti. Peccato che qualche giornalista, nei mesi e negli anni successivi, ricordando quei giorni, se ne uscirà con racconti da fantascienza dicendo di essere stato controllato innumerevoli volte, addirittura fermato sistematicamente dalla Polizia. Che la situazione in Cina non sia quella di un paese davvero libero è evidente, ma inventarsi costrizioni inesistenti, in quelle poche occasioni in cui si è liberi di muoversi come si vuole, non è serio.
IN GIRO PER PECHINO
L’esperienza più divertente e significativa, però, è quella che si fa al di fuori delle sedi ufficiali, in giro per Pechino. E qui i nostri “eroi” sono gli ex Gazzetta, alcuni alla loro prima visita a Pechino, qualcun altro più esperto della Cina. La prima avventura, se vogliamo chiamarla così, è quella dell’impatto con i cinesi. Divertente è quella di un inviato che, pieno di curiosità, si aggira per la strada più famosa di Pechino, la Wangfujing Dajie, al centro, a 500 metri dalla mitica piazza Tiananmen (è sbagliato scrivere Tienanmen, come fanno purtroppo quasi tutti i mezzi di informazione). Viene fermato, a più riprese, da diverse ragazze, qualcuna parla un po’ inglese, le altre si arrangiano con i gesti. L’inviato “matricola” allora chiede consiglio all’esperto che risponde così: “Ci sono tre categorie di ragazze che ti fermano per strada. La prima è quella di chi cerca di venderti qualcosa, in particolare provano a sbolognarti dipinti o manufatti artistici. La seconda è quella di studentesse che cercano stranieri semplicemente per parlare in inglese e migliorare il loro studio della lingua. La terza è quella più antica. Così, sai come regolarti”.
Si va poi alla scoperta dei posti più caratteristici, come gli hutong, i vicoli e stretti vicoli dove ci sono le abitazioni più tradizionali cinesi, ma anche più povere in molti casi, hutong che purtroppo vanno scomparendo, sostituiti da grandi palazzi. E lì si trova l’umanità più vera, più umile e più generosa, che accoglie gli stranieri senza aver bisogno di eventuali imposizioni delle autorità. La “matricola” viene conquistata da una famiglia che addirittura lo invita in casa e gli offre da mangiare. Ed è bello vedere che, anche senza conoscere la lingua e senza l’aiuto dell’esperto, il giornalista italiano capisce e si fa capire.
Arriva poi il momento della visita alla piazza Tiananmen. La spedizione è completa: le due matricole e l’esperto. Si prende un taxi, ma c’è un problema, la strada diretta per la piazza è vietata alla circolazione in quel momento, c’è un poliziotto che ferma il taxi. Il giro alternativo è parecchio lungo e l’esperto, che parla un po’ cinese, prova a convincere il poliziotto: “Io vengo in Cina da tanto tempo, ma i miei due colleghi sono alla loro prima visita e sono liberi solo oggi per poter visitare piazza Tiananmen, ecco i nostri accrediti, non è che ci può far passare?”. Il poliziotto sorride e dà il via libera. Una volta arrivati, bisogna attraversare un sottopassaggio pedonale per andare proprio al centro della piazza, lì sotto c’è il controllo di sicurezza col metaldetector. Ma, sorpresa, quando gli addetti vedono i pass da giornalisti fanno cenno di passare al di fuori del metal detector, un’altra conferma che i giornalisti stranieri possono fare quello che vogliono.
E arriva il momento della cena. Quasi tutti i giornalisti stranieri vanno nei ristoranti per turisti. I nostri tre gazzettieri vanno invece in un vero ristorante cinese, dove nessuno parla inglese e si ordina grazie al cino-inviato, lì dove il fritto (leggenda falsa come una moneta da 3 euro) praticamente non esiste. La verità è che la cucina cinese è al 90% fatta di bollito, lesso, arrosto, di sapori delicati e solo per una minima parte di fritto, che i famosi involtini primavera sono un cibo minore e, soprattutto, che in Cina non esiste il gelato fritto! E la cena è tutta di vero cibo cinese, che le due “matricole” apprezzano a tal punto da chiedere il bis per due-tre piatti. E quando arriva il conto, dopo la sorpresa per la scoperta di una cucina diversa da quella che si trova nei ristoranti cinesi in occidente, la sorpresa ancora più grande di un conto che, per tre persone, equivale a uno spuntino in un bar italiano.
Infine, si torna al lavoro, con una consapevolezza maggiore del nuovo paese olimpico, delle persone che non sono così diverse da noi, del modo di vivere e di pensare, della necessità di aprire la mente e di cancellare i pregiudizi. Due settimane passano in fretta, si torna in Italia e poi, l’8 agosto 2018, si realizza che sono passati già dieci anni e che anche la Gazzetta è un ricordo ormai. Ma quei giorni a Pechino sembrano ancora così vivi, reali, emozionanti, belli.
Gennaro Bozza
(Nelle foto in alto gli inviati della Gazzetta dello Sport Condò e Martucci)