Il pugilato è una delle specialità storiche del programma olimpico, un po’ come l’atletica leggera, l’equitazione o il pentathlon moderno. Inserita nel calendario a Cinque Cerchi nel lontano 1904, la disciplina che ha celebrato alcuni campioni dello sport mondiale come Mohamed Ali, George Foreman, Primo Carnera o Nino Benvenuti rischia però oggi di finire fuori dall’élite delle discipline agonistiche.
La decisione dell’International Boxing Association (IBA) di mettere sul piatto 13 milioni di dollari come montepremi da dividere fra coloro che andranno a medaglia in occasione dell’Olimpiade di Parigi 2024 è soltanto la goccia che potrebbe far traboccare il vaso e chiudere di fatto la storia ultracentenaria di questa nobile disciplina.
Gli anni d’oro in cui i “boxeur” tenevano agganciati milioni di persone a radio e televisione sono ormai lontanissimi, la comparsa di alcuni personaggi controversi come Mike Tyson e lo scoppio di una serie di scandali legati a corruzione e arbitraggi discutibili (vedi la finale dei supermassimi a Londra 2012) non hanno di certo aiutato a tener accesi i fanali su questo settore. Aggiungeteci un cambio della società che considera il pugilato un simbolo di violenza e crudeltà e abbiamo affossato definitivamente una disciplina che ha fatto la storia dello sport e non solo.
Non c’è veramente più spazio per la boxe nel programma olimpico e di conseguenza nel gotha dello sport mondiale? In realtà basterebbe “ripulire” un po’ i vertici per trovare un accordo che soddisfi tutti. Attualmente il CIO riconosce la World Boxing la quale presenta però un budget economico decisamente più ridotto rispetto all’omologa IBA. A quest’ultima sono legate le principali federazioni nazionali complice soprattutto i fondi provenienti dagli sponsor capeggiati da Gazprom.
Il colosso russo dell’energia ha dovuto però alzare ufficialmente bandiera bianca a partire dall’inizio del 2022 quando è esploso il conflitto in Ucraina rendendo l’IBA orfana di una dei principali finanziatori. Eppure la federazione ha continuato a proporre premi di un certo peso a differenza della “più povera” World Boxing attirando così su di sé i dubbi del CIO che ha più volte messo in guardia l’organizzazione per l’assenza di chiarezza riguardante la provenienza dei fondi.
L’ente non ha mai voluto spiegare da dove arrivino i soldi e soprattutto se effettivamente vi sia stato un allontanamento da Gazprom e dalla Russia putiniana, un motivo per cui l’IBA è stata esclusa dal CIO a partire dal 2023 non organizzando nemmeno i tornei preolimpici. La decisione di metter a disposizione 13 milioni di dollari come premi da redistribuire fra i medagliati olimpici chiaramente ha complicato ulteriormente la situazione con federazioni e atleti che hanno deciso di rimanere al fianco dell’IBA almeno ancora per un po’ con rischi annessi.
Di conseguenza, se il CIO volesse tagliare la testa al toro e spostare gli atleti verso la World Boxing, dovrebbe mettere a disposizione un bottino di non poco conto consentendo a questo sport di offrire un futuro anche a coloro che partono nel dilettantismo e di conseguenza dal panorama olimpico. I soldi però non nascono dal nulla e arrivano principalmente dagli sponsor, accompagnati dalle loro richieste che potrebbero non collimare con le scelte del Comitato Olimpico Internazionale.
Insomma, si tratta di un gatto che si morde la coda e che probabilmente non troverà mai una soluzione a meno che atleti e federazioni decidano di rinunciare a lauti compensi per gareggiare su palcoscenici decisamente non all’altezza della storia di questo sport. L’alternativa è lo scontro totale e di conseguenza la cancellazione di questa disciplina dal panorama a cinque cerchi a partire da Los Angeles 2028, una scelta che farebbe male all’intero mondo dello sport.