Alto quasi due metri, grande e potente, coi suoi 96 chili, servizio e dritto che spaccano, ma spaccano proprio, tanto che persino avversari allenati come lui alla boxe-tennis moderna devono piegare il braccio, il gigante buono dellenostre favole da bambini ha però modi e vocina gentili. Si chiama Juan Martin Del Potro, ma a casa sua, nella piccola Tandil, in Argentina, tutti lo chiamano ancora “Palito” ricordando quant’era alto alto e magro magro, proprio come un palo e, nella giungla del tennis, è solo e soltanto “Delpo”.
Lo amano in ogni dove. Perché è corretto, e perché è contento di esserci, dopo tre operazioni ai polsi, altrettanti stop e imperiosi ritorni in vetta. Nel suo viso sincero la gente legge la sofferenza dell’ex povero, costretto dalla vita a inchinarsi ancora e ancora, come un buon padre di famiglia che si alza tutte le mattine per andare al lavoro e rientra a casa la sera, affranto, ma col sorriso di chi è in pace con se stesso. Così, ovunque giochi, il pubblico si schiera per quelle sue spallate violente che sradicano racchette e marchiano palle e superfici. Tira botte, di servizio, di dritto, ma da quando ha ripreso fiducia anche di rovescio, che fanno semplicemente paura, eppure trasmette allegria, come a Roma, quando supplica l’aiuto dell’arbitro, con quegli occhi mogi e le orecchie penzoloni alla Pluto dei cartoni animati che fanno tanta tenerezza, e quando quello controlla il segno e gli dà ragione, gli chiede platealmente un “5 alto” che affossa ancor di più nell’applausometro il giapponese Nishikori, sempre mezzo rotto, e lo promuove alla sfida contro Djokovic. Un incrocio difficile, contro un avversario incattivito da una crisi con se stesso che Delpo ha risolto con uno sforzo psico-fisico sovrumano.
Quello sforzo, quel parallelo umano e sportivo con Nole, potrebbero aiutarlo, oggi, insieme al ricordo delle due straordinarie vittorie ottenute contro il serbo, sempre alle Olimpiadi, nel 2012, nella finale per il bronzo, e nel 2016, quando ha infilzato lui e anche Nadal, fermandosi solo in finale contro Murray. E riaprendo una carriera che sembrava sepolta.
Ma le favole, si sa, devono finire bene. E Delpo, il gigante buono del tennis, non poteva rovinare una così bella storia.
Vincenzo Martucci