“Come faccio a dimenticare… Non c’è giorno che passi senza un pensiero rivolto a quel giorno, a quelle povere ragazze”. Bastano le parole di Walter Zenga per capire quanto sia stato tragico il 7 giugno 1981 allo Stadio “Fratelli Ballarin” di San Benedetto del Tronto.
Quel giorno Zenga non è ancora l’“Uomo Ragno” che ha reso grande l’Inter in Italia e nel mondo, eppure non potrà mai dimenticare la canicola che circonda l’impianto marchigiano e che riporta la Sambenedettese in Serie B a distanza di un solo anno dalla retrocessione in C1. Ci sarebbe da festeggiare, ma da quel pomeriggio nulla sarà più come prima.
Cosa è successo esattamente prima della sfida contro il Matera? Cosa avrebbe spinto i giocatori a pensare a un ritiro prematuro?
Riannodiamo un attimo il nastro e torniamo a quella domenica di giugno del 1981. Dopo un campionato particolarmente combattuto, la squadra di Nedo Sonetti può finalmente festeggiare la promozione in cadetteria qualora arrivi almeno un pareggio contro il Matera già retrocesso.
La Cavese è dietro un punto e vincendo con il Cosenza può salire a braccetto con la Sambenedettese, motivo per cui nella città adriatica si vive un clima di grande festa. L’obiettivo è quasi scontato e per questo migliaia di persone riempiono gli spalti del Ballerin, anche se non seguono assiduamente la squadra. E’ il caso di Maria Teresa Napoleoni e Carla Bisirri, una parrucchiera di 21 anni e una segretaria di 23 che, spinte dagli amici, decidono di trascorrere la propria domenica allo stadio. Si dice che non ci siano mai state prima, ma per le vie di San Benedetto del Tronto si vocifera che si stia preparando una coreografia degna di nota.
E’ un’occasione troppo grande per perdersela, pure per Maria Teresa e Carla che, insieme a oltre quindicimila persone, si accalcano già due ore prima della partita sulle gradinate del Ballarin. Fa caldo, molto caldo, l’estate inizia già a farsi sentire e questo forse influisce sulla scelta delle forze dell’ordine che, intimorite da possibili problemi di ordine pubblico, decidono di sbarrare gli ingressi e le uscite dell’impianto.
Nessuno pensa a cosa potrebbe accadere in caso di incendio o calamità naturale, lo stadio diventerebbe una trappola per topi e migliaia di persone rischierebbero di perdere la vita senza un vero motivo: ma cosa potrebbe mai accadere in un giorno di festa come questo?
Alle 16.57 le squadre scendono in campo ed ecco che i tifosi mettono in scena quella tanto attesa coreografia caratterizzata da sette quintali di striscioline di giornale gettati al vento insieme ai fumogeni rossoblu che si innalzano dalla Curva Sud. Il fumo copre lo spicchio di stadio dedicato al tifo più caldo della Sambenedettese, tuttavia quella nebbia d’improvviso cambia colore e diventa nero come la morte. I giocatori capiscono che qualcosa non va e d’improvviso vedono i propri supporters scappare verso l’alto, accalcarsi verso le uscite senza trovare una via di fuga.
Mentre gli addetti all’impianto cercano delle chiavi che non si troveranno mai, il fuoco sale di gradino in gradino inghiottendo qualsiasi cosa, complice le temperature elevate e la grande presenza di materiale infiammabile. Nella calca qualcuno perde l’equilibrio e finisce inghiottito dalle fiamme.
In questo gruppo di persone c’é un bambino di dieci anni che si ritrova circondato da un muro insuperabile. La fortuna di quel ragazzino è che lì vicino c’è un finanziere in borghese che nota la situazione e decide di lanciarsi in quell’inferno di fuoco salvandogli di fatto la vita, mentre Maria Teresa e Carla ardono come due torce umane, strette dai vestiti sintetici che vanno così tanto di moda all’epoca.
Il video della tragedia
E’ necessario attendere l’intervento dei vigili del fuoco perché la situazione si calmi dopo circa dieci minuti d’inferno. Il bilancio parla di quasi 100 feriti, 64 ustionati di cui undici gravi. Quest’ultimi vengono smistati nei “Centri Grandi Ustioni” di tutta Italia con Maria Teresa e Carla che vengono condotte ancora coscienti all’Ospedale Sant’Eugenio di Roma.
In campo si sa poco e, considerato che almeno metà dello stadio è rimasto a vedere il match, la partita si gioca complice anche la decisione del direttore di gara che, in accordo con le forze di pubblica sicurezza, preferisce dare il fischio d’inizio prima di evitare un esodo incontrollato dallo stadio. I giocatori sanno poco, ma intuiscono quanto è appena accaduto, motivo per cui la grinta agonistica si spegne praticamente quasi subito. Finisce 0-0, la Sambenedettese è in B, ma non c’è nulla da festeggiare.
Maria Teresa e Carla lottano disperatamente fra la vita e la morte in un letto d’ospedale: la paura di perderle è altissima e l’epilogo peggiore si concretizza poco dopo. La prima muore nelle prime ore del 13 giugno dopo sei giorni di agonia, la seconda si spegne il 17 giugno a causa delle ustioni del I, II e III grado riportate sul 70% della superficie corporea totale.
A Walter Zenga non andrà mai giù quanto è successo quel pomeriggio al Ballarin e soprattutto sulla scelta di dimenticare tutto, puntando sull’abbattimento di quanto restava dello stadio, centro della più grande tragedia mai avvenuta in un impianto italiano.