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I videogames alle Olimpiadi? Ma no, dai! Sono giochi ma soltanto al video, e non insegnano le regole…

Da Pierangelo Molinaro 30/10/2017

La decisione del Comitato Olimpico internazionale di considerare un’attività sportiva anche smanettare a una playstation accende le polemiche: si vuole arrivare a Giochi senza frontiere?

Le signore del “punto croce” cominciano a farci un pensierino… Se smanettare su una playstation è considerato sport perché non prendere in esame pure ago e filo? Forse non conta milioni di adepte, ma pure questa attività richiede talento, allenamento e concentrazione. La fila dei pretendenti al riconoscimento potrebbe a questo punto diventare lunghissima. Perché no gli spaghetti con risucchio o il tiro al piccione con la fionda? Sino alle “canne” a chi fa il tiro più lungo?

La sensazione è che al Cio stiano un po’ sbarellando. Non basta scoprire che alle spalle di ogni designazione di sede di grandi eventi sportivi ci sono scandali, ruberie e malaffare, la rincorsa al denaro, all’audience e all’attenzione dei più giovani rischia di fare danni seri. Già il Comitato ne ha fatti, come abolire per le donne il controllo sul sesso, fatto che ha scatenato fra i manager la corsa all’ampia zona grigia per trovare fenomeni utili a tutte le discipline sportive in cui conta la forza. Ha introdotto nel programma olimpico le gare miste (e si può discutere…), e discipline da cui ha preso anche sportellare in faccia, come dal golf che, al battesimo dei Giochi di Rio 2016 è stato disertato dai suoi campioni che hanno preferito i tornei milionari (ed evitato i controlli antidoping…).

Stiamo attenti, perché non è poi difficile superare il limite e diventare “Giochi senza Frontiere” di lontana memoria. L’Olimpiade ha una sua sacralità, dovrebbe essere il momento più alto della storia sportiva e non può essere svilita con esibizioni da baraccone. E’ giusto studiare le nuove tendenze, osservare cosa preferiscono i più giovani, ma senza discostarsi troppo dai principi generali dell’attività motoria, dai valori che danno dignità e senso all’esistenza dello sport stesso.

In fondo ogni disciplina che cosa è? Un gioco, semplicemente un gioco codificato da regole. Ed il rispetto delle regole è centrale per la riuscita del gioco. E in questo c’è pure il rispetto dell’avversario e delle idee degli altri. Ma forse a questi signori che presiedono il maggior consesso mondiale poco interessa dell’attività vera, dei volontari che spendono tempo e denaro, dei sogni dei ragazzi, dei modelli di cui hanno bisogno. Quando lo sport sbaglia si dice che la colpa è della società in cui è immerso, ma pensiamo che ogni sport ha diritto di esistere quando è migliore dell’ambiente che lo circonda e riesce ad instillare regole sane.

Non abbiamo nulla contro i videogame e le playstation, ma se si guarda bene è un’attività antagonista dello sport, che isola i ragazzi davanti alla loro tastiera o al loro joystick,  che non insegna a rispettare le regole e gli altri e che a volte è capace di portarli decisamente lontano dalla realtà con tutte le conseguenze. E’ forse il momento di fermarci e riflettere. Il rischio è che a diventare “vecchio” e inutile sia lo sport stesso.

Pierangelo Molinaro

Tags: dai! Sono giochi ma soltanto al video, e non insegnano le regole…, I videogames alle Olimpiadi? Ma no, olimpiadi, Pierangelo molinaro, videogames, videogiochi

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Nota sull’autore: Pierangelo Molinaro

Ha studiato Biologia all’Università di Pavia. Dopo le esperienze all’Informatore, Corriere di Pavia e SuperGol, ha seguito da inviato per la Gazzetta dello Sport 12 Olimpiadi, 27 Mondiali e 7 Europei di atletica, 5 Paralimpiadi. E’ specializzato anche di sci e doping.

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