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Tennis

Kyrgios, provocatore e attaccante sempre, un po’ “mostarda”. E’ l’anima del tennis… e della Davis!

Da Vincenzo Martucci 09/04/2017

Nick, dalla contrastante, ma fortissima, personalità, sembra sprezzante e menefreghista ma trascina l’Australia alle semifinali di Coppa soffocando Isner e Querrey. Nello spirito più puro dello sport 

“Per come ha giocato, è pieno di fiducia, ha acquistato un sacco di autostima, ha una buona squadra alle spalle, è il nostro leader e tutti noi lo spingeremo perché giochi bene. Chiunque giocherà degli Stati Uniti dovrà fare una prova strepitosa per batterlo, se gioca per cinque set come ha fatto finora in tre, non importa chi si troverà di fronte, ha una qualità di tennis molto alta”.

“Gran bel giocatore. Molto, molto forte. Il tennis ha bisogno di un personaggio come lui: qualità tennistica e personalità”.

“Può vincere presto uno Slam e diventare il n. 1 del mondo, se davvero però si concentra sul tennis».

Il suo capitano di Davis, l’ultimo mito del tennis d’Australia, Lleyton Hewitt, il re del tennis, il primatista di 18 Slam, Roger Federer, e Mister 9 Roland Garros in dieci anni, il campione della volontà, Rafa Nadal, non hanno dubbi su Nicholas Hilmy “Nick” Kyrgios, e guardano oltre i modi bruschi, le reazioni scomposte, la cattiva nomea, le provocazioni più urticanti: dal famoso “Mi spiace, Stan, il mio amico Kokk si è fatta la tua ragazza” (che sussurrò cattivo, a un cambio campo, a Stan Wawrinka rivelandogli la tresca di Kokkinakis con la collega Donna Vekic) al: “Certo che c’è altra erba, nel tennis, e la fumiamo”, al “Statevene zitti in tribuna, sono io che gioco, se foste tanto bravi sareste al posto mio”. Il tennis, con la sua fanciullesca semplicità ed onestà, riconosce il tennis, e lo rispetta (al di là delle otto settimane di multa che s’è già beccato per atti disciplinari vari), insieme all’atteggiamento sempre fiero e coraggioso e offensivo del 22enne australiano di origini greche (da parte di papà) e malesi (mamma), che gioca all’attacco anche nella vita. «Avessi potuto, avrei giocato a basket, quello che adoro è l’Nba, ma ho vinto subito nel tennis ed eccomi qua. Anche perché il denaro mi piace, come lo stile di vita che mi fa fare, e mi considero fortunato di far parte di uno sport che mi assicura tanti bonus. Anche come esperienze: viaggi, persone sempre nuove, posso ispirarne tante, oggi, e a fine carriera».

Parla, ti guarda in faccia, sorride, attende la reazione, studia l’interlocutore. Forte anche della sua fisicità (1.93 per 85 chili) che l’hanno portato a vincere  da subito: da junior (Australian Open di singolare e Wimbledon di doppio 2013), e da pro, toccando i quarti a Wimbledon 2014 e poi agli Australian Open 2015, eliminando già al primo scontro Nadal, Federer e Djokovic, e salendo al numero 13 del mondo (oggi 16). Parla, Nick, e ti provoca, come in campo con il mondo esterno. Dice: “I miei idoli? I Boston Celtics e Kevin Garnett”. Poi però, quando incrocio Federer, si inchina, come tutti: “E’ il più grande, io sono diverso e non posso essere come lui, ma certo lo apprezzo, sia dentro che fuori dal campo di tennis. Sono cresciuto guardando lui, Tsonga, LeBron (James) e Michael (Jordan)”. Le ragazze? “Il tennis dà dei vantaggi notevoli con le ragazze, non voglio fidanzarmi con una collega». Ma poi è fidanzato da anni ormai proprio con una collega, la connazionale Ajla Tomljanovic. Che le manca, che cerca, che ha riabbracciato felice, sul Tour, dopo tanti intoppi fisici. Anche se lei, alba, bella, altera, potente come lui, lo prende con le molle, come un bambinone, uno di quei rudi mandriani del bush, che risolve le dispute con una semplice scazzottata, e poi va a bersi una birra insieme. Epperciò adora il gruppo, i “mate”, come dicono in Australia, i compagni. Con loro, e capitan “Lleyton il selvaggio” s’è ritrovato ad inizio anno quand’aveva le gomme sgonfie dopo la rieducazione sul lettino dello psicanalista che gli aveva spento il sacro fuoco, e l’aveva visto perdente contro Adreas Seppi nello Slam di casa, a Melbourne. Per loro, ha soffiato prima Isner e poi Querrey qualificando gli aussie alle semifinali del 15-17 settembre contro la vincente di Belgio-Italia. E ce l’ha fatta senza gli amici del cuore, Kokkinakis, sempre infortunato, e Tomic, talento inespresso e pazzerello come lui, con cui fa a gara nel reazioni sconcertanti, facendosi anche ammonire ufficialmente in certo match “per scarsa combattività”.

Nick non è come John McEnroe, non istiga la rissa perché poi sa riaccendersi prima e meglio di avversari ed arbitri e pubblico, è più come Jimmy Connors, è un guerriero dall’attitudine naturale alla battaglia. Prendere o lasciare. Anche quando fa uno-due-tre tweener (il colpo sotto le gambe) quasi irridenti anche contro Federer il Magnifico, cui a Miami s’arrende solo dopo tre tie-break. “E’ come la mostarda, va preso a piccole dosi e non piace a tutti”, dicono a casa sua. Di certo il tennis e lo sport in generale hanno terribilmente bisogno dello spirito di Nick Kyrgios, per tenere salde le tradizioni e le caratteristiche del gioco stesso. A cominciare dalla cara, vecchia, Davis, che infatti gli australiani vorrebbero tenere così com’è (dal 1900) e invece gli yankee, che muterebbero qualsiasi cosa per il semplice gusto di cambiare e poi tornerebbero indietro mille volte, rivoluzioneranno. Ahinoi.

Vincenzo Martucci

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Nota sull’autore: Vincenzo Martucci

Napoletano, 34 anni alla Gazzetta dello Sport, inviato in 8 Olimpiadi, dall’85, ha seguito 86 Slam e 23 finali Davis di tennis, più 2 Ryder Cup, 2 Masters, 2 British Open e 10 open d’Italia di golf. Già telecronista per la tv svizzera Rsi; Premio Bookman Excellence.

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