Nessuno, ma proprio nessuno poteva negare a Rafa Nadal un altro fantasmagorico trionfo al Roland Garros, il numero 13 – nella tredicesima finale -, e il ventesimo Slam, agganciando il record nei Majors del rivale storico, Roger Federer che, dieci anni fa, sembrava irraggiungibile. Non l’ha fermato nemmeno il nemico invisibile del 2020, il Covid, che uccide fisicamente le persone e soffoca spirito ed attività: il formidabile mancino di Spagna ha firmato anche il primo, storico, Slam parigino sotto il tetto del centrale Philippe Chatrier, peraltro, senza perdere un set (come nel 2008, 2010 e 2017), raggiungendo un altro traguardo numerico che colpisce, 100, come le partite vinte a Porte d’Auteuil (due sole perse, con Robin Soderling negli ottavi 2009 e con Djokovic nei quarti 2015).
Perciò, anche se poi non è riuscito a sfatare il tabù-ATP Finals – l’unico grande torneo che ancora gli resiste – cedendo di poco sull’ostico tappeto indoor di Londra agli emergenti Thiem e Medvedev, grazie alla nuova impresa sulla terra rossa, l’agonista ideale dello sport si assicura il primato morale di numero 1 della stagione, come autore dell’impresa dell’anno e anche per molto di più.
Per come gestisce le partite e i punti che più contano, per come sfrutta ogni occasione, per come ha completato il bagaglio tecnico, trasformandosi in attaccante, Rafa ha riaffermato l’etichetta di extra-terrestre, di campione ogni superficie, riazzerando le distanze da Djokovic: “Agli Australian Open di gennaio mi aveva ucciso, stavolta non è stato così”.
Al Roland Garros resta il padrone: nei quarti, ha saputo resistere a baby-Jannik Sinner in un primo set equilibratissimo contro un avversario inedito che l’ha messo in seria difficoltà da fondocampo, in semifinale, ha messo il bavaglio al cagnaccio Diego Schwartzam che l’aveva sorpreso a Roma e, in finale, nel derby più frequentato di sempre nel tennis (56 puntate, 29-27 per Nole), ha rubato tempo e iniziativa al numero 1 del mondo.
E, facendo uno sforzo mentale sovrumano, s’è imposto di giocare sempre vicinissimo alla riga di fondo, di essere più aggressivo che mai, di limitare appena a due il numero degli errori gratuiti.
Così, ha rifilato un umiliante quanto imprevedibile 6-0 all’eroe di Serbia e, trattandolo con la stessa moneta con la quale aveva trattato Federer nella finale di Parigi del 2008 (vinta per 6-1 6-3 6-0), ha anche influenzato la partita, ha concesso al rivale il primo game dopo soltanto 54 minuti, ridimensionando un campione come Djokovic, incapace di reagire e di tentare valide alternative, talmente confuso da commettere 52 gratuiti .
Con questo successo, Rafa, che non batteva Nole negli Slam da Parigi 2014, ha ritrovato fiducia e coraggio, cancellando le perplessità dei mesi precedenti, dalle poche partite disputate rispetto al rivale alla rinuncia tattica a New York ai dubbi sul Roland Garros 2020.
“Pensavo che le condizioni, con l’umidità che rende le palle meno vive e le fa saltare meno alte, non gli sarebbero più state favorevoli, ma Rafa ha zittito tutti, il suo livello è stato ancora fenomenale: se io non costruivo bene i punti era per la sua fantastica difesa. In genere, contro il 90% degli avversari, dopo due o tre colpi pesanti da fondo, faccio il punto, invece contro di lui non ci riesco. Merita tutti i superlativi che volete”, ammette Nole, impressionato come tutti dal magico 13 di Rafa.
Vincere è difficile, rivincere lo stesso torneo è anche consueto, ma riuscirci tante volte e in uno Slam dà la dimensione dell’impresa fisica, mentale e tecnica di Nadal, gli assegna un posto fra gli immortali nella storia dello sport tutto e lo rilancia drasticamente nella corsa al famoso GOAT del tennis. Probabilmente qualcuno batterà i 20 Slam-record di Federer e Nadal – presumibilmente lo stesso Rafa, ancor più presumibilmente Djokovic (oggi a quota 17) – ma nessuno più si aggiudicherà per 13 volte un Major: così dice il distacco nella speciale classifica, con gli 8 urrà di Federer a Wimbledon e di Djokovic a Melbourne.
Peraltro, Nadal è recidivo: è anche l’unico ad aver firmato 11 volte un altro torneo, e c’è riuscito sia Montecarlo che a Barcellona. E punta altri primati. A cominciare da quello di più anziano campione al Roland Garros, per scalzare l’altro spagnolo, Andres Gimeno, campione nel 1972, a 34 e 306 giorni: il 6 giugno dell’anno prossimo, il formidabile maiorchino ne compirà 35.
Anche se forse il record temporale che più impressiona nella fantasmagorica striscia parigina di Nadal è la distanza fra il primo successo del 2005 e l’ultimo, del 2020, sono trascorsi quindici anni, uno scarto inaudito per l’era Open che pure la prossima stagione ripresenterà un 40enne straordinario come Roger Federer.
Per trovare un campione capace di simili imprese bisogna risalire al leggendario Ken Rosewall che si aggiudicò una prima volta gli Australian Open nel 1953 e poi ancora nel 1972, diciannove anni più tardi. Chissà se Rafa ci fa un pensierino.
*articolo ripreso da www.supertennis.tv