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Pier Luigi Pizzaballa è stato l’incubo per migliaia di bambini che nella stagione 1962-63 non sono riusciti a completare l’Album dei Calciatori Panini. Quell’anno la sua figura sembrava introvabile tanto da far nascere una serie di leggende sul suo conto a partire dal tentativo della casa editrice modenese di stampare un numero ridotto di copie così da spingere i giovani appassionati ad acquistare un numero sempre crescente di figure.
Dietro questa maschera si nasconde però un uomo mite, capace di dare una svolta alla figura del portiere in Italia e persino di vestire la maglia della Nazionale vivendo da riserva una delle esperienze mondiali peggiori per il nostro calcio.
Come accadeva per molti suoi colleghi, la storia calcistica di Pier Luigi inizia quasi per caso toccando i primi palloni a Verdello dove cresce e lavora in una drogheria facendo il garzone con l’appoggio di don Antonio, il vero scopritore di Pizzaballa. Il sacerdote lo accompagna con la Moto Guzzi per portarlo in giro per la Lombardia a svolgere una serie di provini, proteggendolo dal freddo con la lunga tunica.
L’occasione giusta arriva in realtà vicino a casa, a Bergamo, dove viene preso dall’Atalanta per svolgere il ruolo di vice di Zaccaria Cometti esordendo in Coppa Italia nella stagione 1958/59 e diventando titolare nel 1962-63, anno del suo debutto in Serie A, ma soprattutto della vittoria della Coppa Italia. In quella competizione Pizzaballa è grande protagonista, contribuisce ai successi dei nerazzurri su Como, Catania, Padova e Bari prima di approdare alla finale in programma a Milano il 2 giugno 1963 nella quale la squadra di Paolo Tabanelli surclassa il Torino con un netto 3-1. Il mattatore è Angelo Domenghini con una tripletta, ma in quella squadra di bergamaschi doc c’è spazio anche per Pizzaballa che diventa così l’unico portiere della Dea ad aver alzato un trofeo.
Insieme a lui ci sono nomi indimenticabili come quello dell’argentino Salvatore Calvanese o dell’italo-brasiliano Dino Da Costa, miglior marcatore di un’annata contraddistinta anche dalla finale persa con la Juventus in Coppa delle Alpi, ma accomunato a Pizzaballa dal tragico destino di aver vissuto la maglia azzurra soltanto per una volta, sempre in circostanze negative.
Se Da Costa assaggia il dolce sapore della Nazionale in occasione della tragica sfida contro l’Irlanda del Nord che costringe gli azzurri a rinunciare al Mondiale 1958, Pizzaballa si ritrova gettato nella mischia il 18 giugno 1966 in occasione di un’amichevole con l’Austria utile per prepararsi alla competizione iridata in programma in Inghilterra.
La partita andata in scena a San Siro non è di certo delle più spettacolari, tuttavia c’è grande fiducia nel clan azzurro con Edmondo Fabbri che manda in campo i titolari al fine di prepararsi al meglio in vista dell’appuntamento oltre la Manica. Nei primi quarantacinque minuti in porta ci va Ricky Albertosi, poi nella ripresa tocca a Pizzaballa che tiene la porta inviolata fino alla fine. A deciderla è Tarcisio Burgnich che, inserito al posto di Giacinto Facchetti, trafigge la porta dell’Austria al ’73 e regala una vittoria convincente.
Nella lista dei ventidue che Fabbri convoca per il Mondiale compare anche il nome di Pizzaballa insieme a quello di Albertosi e Roberto Anzolin, mentre viene tagliato fuori a sorpresa Giuliano Sarti, pilastro della escluso insieme ai compagni Armando Picchi e Mario Corso. Fra le scelte incomprensibili del tecnico bolognese c’è la decisione di portare “fuori rosa” il centrocampista della Fiorentina Mario Bertini e un attaccante di buone speranze come Gigi Riva, chiamati per fare esperienza nella “Perfida Albone”.
Gli highlights della sfida fra Italia e Austria
Fra chi fa fatica a vedere il campo c’è anche Gigi Meroni, costretto a guardare la sfida vinta per 2-0 con il Cile in panchina insieme a Pizzaballa prima di esser gettato nella mischia contro i colossi sovietici nel match di Sunderland, perso per 1-0 dopo un’incomprensibile rivoluzione tattica messa in atto da Fabbri. A quel punto basterebbe pareggiare con la Corea del Nord, ma Fabbri decide di rispedire la Farfalla Granata in panchina dove osserva ancora una volta l’Italia sprofondare insieme al portiere atalantino sotto i colpi di Pak Doo-ik, per anni ricordato con l’appellativo di “dentista”.
Il rientro in patria è a dir poco disastroso, i giocatori vengono accolti all’aeroporto da una folla inferocita che lancia contro di loro urla e ortaggi marci. Per molti di loro è la fine dell’avventura azzurra, è necessaria una rivoluzione per ripartire e Pizzaballa non rientra nei piani del nuovo commissario tecnico Ferruccio Valcareggi.
Da qui parte un lungo vagare per l’Italia caratterizzato dalle esperienze alla Roma dal 1966 al 1969, al Verona dal 1969 al 1973 e al Milan sino al 1976 quando torna alla sua amata Atalanta e chiude la carriera nel 1980. Nel mezzo c’è spazio per storiche pagine del calcio italiano che vanno dalla “Fatal Verona” del 20 maggio 1973 alla finale di Coppa delle Coppe contro il Magdeburgo e lo sfortunato derby perso per 5-1 nel 1974, entrambe vissute con la maglia rossonera.
Nonostante siano passati oltre quattro decenni dal ritiro delle scene, su Pizzaballa permane ancora quell’aura di mistero riguardante la sorte della sua figurina. A differenza di quanto riferito dalle malelingue dell’epoca, semplicemente il portiere orobico non era presente il giorno in cui i fotografi Panini si erano presentati per ritrarre i giocatori dell’Atalanta. L’estremo difensore si era infortunato al braccio mancando così all’appello senza che gli addetti della casa editrice emiliana se ne accorgessero. Quando l’album andò in edicola era ormai troppo tardi, motivo per cui i fotografi furono costretti a tornare a Bergamo in fretta e furia e sistemare la situazione, con due mesi di ritardo e soprattutto migliaia di bambini rattristati per non aver completato la raccolta a causa di Pizzaballa.