Si può criticare un numero 3 del mondo che ha soltanto 21 anni? Si può discutere il miglior giovane mondiale, che già nella passata stagione s’è qualificato al Masters fra i migliori 8 Atp Tour, dopo aver vinto il Masters 1000 di Roma (dominando Djokovic in finale) e Montreal (superando Federer sotto il traguardo)? Si può contestare i primi quattro mesi del 2018 del tedesco, malgrado abbia raggiunto la finale al Masters 1000 di Miami?
A guardare il bicchiere mezzo pieno, in fondo, Sascha Zverev è il primo dei secondi, dopo i mitici Nadal e Federer, e precede i ben più navigati Cilic, Dimitrov, Del Potro, Thiem, Anderson, Isner e Goffin nella griglia dei “top ten” della classifica mondiale. A quell’età, con già sei titoli Atp in bacheca, gli si possono sicuramente concedere le attenuanti generiche per qualche scivolata di concentrazione, e quindi anche di comportamento. Anche perché uno sport estremamente individuale come il tennis impone ai suoi eroi un culto spropositato dell’ego. Con annessi atteggiamenti anche antipatici, pieni di presunzione e testardaggine. Ma è anche chiaro che Sascha, figlio e fratello d’arte, “enfant prodige” con le stimmate di prossimo numero 1 del mondo, desidera assolutamente sfruttare le occasioni che si vengono a creare in questo momento storico con la contemporanea latitanza dei vari Djokovic, Murray e Wawrinka. E, come altri talenti mai sbocciati pienamente, rischia di innervosirsi sempre più e di avvizzirsi, frustrato, in questa ricerca di successi d’alto livello. Che, in pratica, si riassumono nei tornei degli Slam, dove finora è mancato, cogliendo appena un quarto turno a Wimbledon 2017. Per riuscirci, deve prima risolvere, però, alcune problematiche tecno-tattiche importanti, e ha bisogno di un super coach. Perché papà Alexander Senior, che lo ha svezzato e lo accompagna tuttora, non trova le chiavi giuste. Per limiti oggettivi e carismatici.
Sacha e la sua famiglia stanno sfogliando la margherita per scegliere il super-coach fra Boris Becker e Ivan Lendl, due ex numeri 1 del mondo e campioni Slam, che vantano anche ottime referenze come allenatori-leggenda, rispettivamente, con Novak Djokovic ed Andy Murray. Come suggerisce lo stesso Zverev: “So che è solo questione di tempo prima che io vada lontano anche negli Slam. Da una parte so che devo ancora fare progressi, so che non sono ancora dove voglio essere e sono soddisfatto della mia squadra, dall’altra, gli unici che posso tenere in considerazione come allenatori sono Becker e Lendl. Che mi capiscono bene anche fuori dal campo”. Perché Boris è stato il supervisore, in panchina, della Germania di Coppa Davis di quest’anno e Ivan era in tribuna a Miami ad aprile al torneo di Miami alle partite del numero 3 del mondo.
Chi preferire fra i due? Umanamente, anche per questioni di lingua, di maggior vicinanza d’età (Becker è del ’67, Lendl del ’60), di gioco da sviluppare a rete e di spirito ribelle, probabilmente Zverev si trova meglio con Bum Bum. Anche perché le superfici dove potrebbe maggiormente sfruttare potenza del servizio, colpi da fondo, altezza e inesplorate prospettive a rete, sono erba e cemento. Ma è anche vero che l’ex “Ivan il terribile”, pur col buco nero dell’erba che non ha mai domato direttamente da atleta, è più completo tecnicamente. Ed ha saputo trasformare radicalmente il dritto e anche l’attitudine di un atleta già formato come Murray – che ha accompagnato nel delicatissimo trionfo di un britannico a Wimbledon e nella conquista del numero 1 del mondo – e quindi potrebbe creare delle basi più solide al tedesco. Rispetto a Becker che, in definitiva, è stato più un motivatore che un tecnico per Djokovic. Tanto che il serbo in realtà continua a giocare come prima. Mentre Sascha vuole sfatare anche il tabù terra rossa – dove Becker non ha mai vinto -, acquisendo quindi la pazienza e gli accorgimenti tecnici che gli sono indispensabili sul rosso e che sono gli elementi-base del repertorio di Lendl. Il quale, non dimentichiamolo, è coetaneo di Zverev senior, e magari anche per questo parte leggermente in vantaggio rispetto a Becker. Soprattutto dopo il fallimento del tentativo col super-coach spagnolo Juan Carlos Ferrero, più giovane ancora di Boris, ma incapace di mettere le briglia al miglior puledro del tennis mondiale.
Vincenzo Martucci
(tratto da federtennis.it)