Simona poteva, doveva, conquistare il primato al Roland Garros, ai primi di giugno, quand’ha giocato da favorita, sulla superficie preferita, la finale contro Bum Bum Ostapenko, ed è andata avanti un set e un break, ma poi s’è eclissata, incapace di gestire un’esordiente, lasciando a bocca aperta i suoi sponsor: la manager Virginia Ruzici e il padre protettore Ion Tiriac, che aveva fatto scaldare i motori del jet privato per accompagnarla da eroina a Bucarest. Poteva salire in vetta a fine giugno, a Eastbourne, ma, nei quarti, contro Caroline Wozniacki – primatista di sei sconfitte quest’anno in sei finali sul Tour! – si è persa quand’era 7-5 3-0. Poteva cancellare il tabù ai primi di luglio, a Wimbledon ma, nei quarti contro la beniamina di casa, Jo Konta, si è arenata ancora vicinissima alla meta, a due punti dal match, sul 7-6 5-4. Poteva riuscirci la settimana scorsa, a Cincinnati, nella finale contro la rediviva Garbine Muguruza, ma è scomparsa dal campo, sopraffatta dalla potente spagnola e dalle proprie paure, e poi sommersa dall’annichilente 6-1 6-0 in nemmeno un’ora. Rimettendo anche l’iberica-venezuelana in corsa per il primato in classifica che ha già bruciato Angelique Kerber e che sta frastornando anche la Pliskova nel ballo delle debuttanti che sta caratterizzando il calo per motivi fisici-motivazionali e poi il distacco per maternità di Serena Williams.
Povera Halep, l’abbiamo vista preoccupatissima a Roma per qualche problema fisico e per la pressione di riportare un numero 1 del tennis in Romania quaranta anni dopo il mitico Ilie Nastase e di rivincere uno Slam trentanove anni dopo Virginia Ruzici. L’abbiamo vista piangere al Roland Garros, l’abbiamo vista fuori di sé a Wimbledon, l’abbiamo vista scappare negli spogliatoi subito dopo l’ultimo dritto sballato di Cincinnati, in evidente confusione mentale. Poi è stata bravissima, davvero encomiabile, a ricomporsi per la premiazione, e aspettare ai microfoni: “Non tutti i giorni sono uguali, vale per tutti, qualsiasi lavoro si faccia, e io ho giornate in cui non riesco a fare quello che vorrei e non sono chi vorrei”.
I limiti fisici ci sono, ed evidenti, per la ragazza di Constanta, alta appena 1.68, a confronto con le rivali tutte sul metro e 80, potenti e col pugno del ko. Ma, con tecnica, velocità e intelligenza, la Halep è “top ten” dal febbraio 2014 e “top 5” da tre anni e mezzo. Proprio non riesce ad effettuare l’ultimo strappo al vertice, per la disperazione sua, dell’angelo custode Virginia Ruzici e dell’ottimo coach Darren Cahill che, per sferzarla, l’aveva anche lasciata, a gennaio, ma l’ha poi riabbracciata, fraterno, vedendo che Simona ci mette l’anima, va oltre la soglia della fatica, ma sembra davvero oggetto di una maledizione. Perché, se è vero che poi crolla per il caldo e la fatica, e chiede scusa pubblicamente perché è mancata, come a Cincinnati contro il ciclone-Muguruza, è anche capace di rimontare Elina Svitolina al Roland Garros e, settimana dopo settimana, di riconquistarsi altre occasioni per raggiungere questo benedetto numero 1 del mondo. Senza gettare mai la spugna, ma rimettendosi subito, di nuovo, al lavoro. E aprendo semmai la discussione su quale sia la vera Halep, il dilemma che angoscia anche lei.
Vincenzo Martucci